
Vi ricordate della “Perfida Albione”? Fu Benito Mussolini, attaccando l’adesione britannica alle sanzioni anti-italiane dopo l’invasione dell’Abissinia, a riprendere l’esortazione del Marchese Agostino di Ximenes, un francese di origine spagnola, autore alla fine del Settecento di un verso che diceva “attacchiamo la Perfida Albione (ovvero l’Inghilterra) nelle sue acque”.
Oggi che le cannoniere non si usano più, si surroga la loro devastazione fisica e morale con quella più subdola e altrettanto devastante degli opinion-makers mondiali che, guarda caso, traggono proprio origine dal “Quarto Potere” della carta stampata e dei media di matrice anglosassone. Parliamo, in particolare, della partita a tennis tra “Financial Times” e “The Economist” (un colpo al “Sì” per il primo, e uno opposto al “No” per il secondo) in cui le principali testate economico-finanziarie della City si fanno pesantemente, come dire, gli affari nostri. E di Matteo Renzi, in particolare. Reo per entrambi di aver chiamato “banco” (tipo: “Après mois le déluge”) sulla sua riforma costituzionale che, tra l’altro, il nostro Caudillo in erba non ha avuto nemmeno il buon gusto di presentare agli italiani nel corso di una canonica, normalissima competizione elettorale, mai avvenuta per volontà del Quirinale.
Ma, mentre il primo con Münchau gioca al catastrofismo, il secondo al contrario procede ad un’analisi ben più raffinata e documentata dell’attuale situazione politica italiana. E lo fa “di lusso” con ben due editoriali non firmati. Il primo, molto dettagliato (tre pagine fitte in tutto) dal titolo “Renzi’s Referendum”, descrive con grande lucidità i meccanismi decisionali che regolano le istituzioni italiane attuali, antisimmetrizzandoli con le modifiche introdotte dalla riforma Renzi-Boschi, per concludere che il rimedio proposto appare ben peggiore del male che intende curare. Già, perché in fondo, ci dice il settimanale economico, il problema è sempre quello: la resistenza al cambiamento degli italiani (come dei francesi, che pure hanno il massimo del decisionismo presidenziale che Renzi vorrebbe per sé!), timorosi di perdere i privilegi acquisiti. Del resto, il Senato delle Regioni renziano va a premiare, guarda caso, uno dei sistemi più corrotti della fabbrica dei potentati e del malaffare locali, mentre rimangono del tutto insoluti i nodi veri, relativi allo smantellamento della burocrazia che uccide l’economia, alla giustizia ipertrofica e paralizzante e alla riqualificazione della formazione scolastica superiore.
Il secondo, più breve e di schieramento, prende il titolo di “A regretful no” (cioè: “Ci dispiace, ma diciamo no”) e si prende la briga di rimuovere le foglie di fico che l’aspirante Caudillo mostra quotidianamente nei talk-show ai nostri concittadini, come costitutive della “Grande Bellezza” della sua riforma, toccasana di tutti i mali italici. E, sulla fine dell’editoriale, “The Economist” dice una cosa chiara a Renzi: “Italians should not blackmailed”. Ovvero: “Non si può ricattare il popolo italiano”, perché sei stato tu, Renzi, “a creare la crisi mettendo in gioco il futuro del tuo governo su un test sbagliato!”. “Ace”, come si dice a tennis quando il tuo avversario ti piazza il colpo alla prima battuta! L’Economist ce l’ha a morte con il nostro “Divino”, perché, in fondo, guardando alle tasche degli investitori internazionali, lo accusa con le sue iniziative dirompenti di aver preparato la strada per il successo dei populisti del Movimento 5 Stelle, il vero spauracchio della finanza speculativa mondiale. Dando, infine, un bel calcio negli stinchi ai suoi illustri colleghi del “Financial Times”, l’Economist conclude che, qualora vincesse il “No” e venisse giù l’impalcatura dell’eurozona, allora ciò vorrebbe semplicemente dire che “la moneta unica era troppo fragile e la sua distruzione sarebbe stata solo una questione di tempo”.
Perché, vi chiederete, mi sono impegnato a fare il traduttore? Semplice: gli investitori internazionali che ci debbono prestare i soldi sono attentissimi e assai sensibili agli isolani squilli di tromba della “Perfida Albione”. Donald Trump compreso.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:50