
Uno dei punti qualificanti della riforma costituzionale, che sarà sottoposta al giudizio dei cittadini il prossimo 4 dicembre, è la composizione del nuovo Senato, prodromica alla rappresentanza delle autonomie territoriali e al superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto.
Il Senato sarebbe composto (oltre che da cinque senatori a tempo, nominati dal Presidente della Repubblica) da novantacinque membri eletti dai Consigli regionali, dei quali settantatré tra i consiglieri regionali e ventidue tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. Si precisa che nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due e che le Province Autonome di Trento e Bolzano hanno ciascuna due senatori. Sennonché, il disattento legislatore costituente del 2016 non si è accorto che gli Statuti speciali delle Regioni Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Sicilia e Sardegna contengono tutti una disposizione (rispettivamente, articolo 28, comma 3; articolo 15, comma 3; articolo 17, comma 1; articolo 3, comma 7; articolo 17, comma 2) che sancisce l’incompatibilità dell’ufficio di consigliere regionale e delle Province Autonome di Trento e Bolzano con quello di membro di una delle Camere e, quindi, di senatore.
Trattasi di disposizioni tutte di rango costituzionale, la cui modifica richiede uno speciale procedimento di approvazione previsto dagli Statuti speciali medesimi, che prevede un ruolo significativo, decisivo ed insostituibile delle assemblee o Consigli regionali o provinciali, nonché, eventualmente, un referendum riservato ai cittadini di quelle Regioni. Conseguentemente, ove il referendum costituzionale avesse esito positivo, la tanto sbandierata riforma del Senato non potrebbe essere attuata, quantomeno in tempi brevi, poiché richiederebbe la previa modifica delle cinque leggi costituzionali che costituiscono gli Statuti speciali.
Infatti, non vi è alcun dubbio che la riforma costituzionale in corso non incida e non possa incidere, sia per la loro natura speciale sia per lo specifico procedimento per la loro approvazione e modifica, sugli Statuti delle cinque Regioni suddette. D’altro canto, non può neanche sostenersi che la modifica di detti Statuti sia un atto dovuto, poiché può essere legittimamente non condivisa dalle cinque Regioni o da qualcuna di esse, con conseguenti ulteriori aggravamenti procedimentali dall’esito incerto, ovvero dai loro cittadini in sede di referendum oppositivo su tale eventuale modifica. Né appare non solo ammissibile, ma neanche astrattamente plausibile, che il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia, la Valle d’Aosta, la Sicilia e la Sardegna restino senza senatori e tale conseguenza dell’eventuale approvazione della riforma costituzionale non può dirsi rimediabile ad ogni costo, dovendosi comunque tenere conto della volontà delle cinque Regioni e dei loro cittadini, che non sono stati minimamente coinvolti da un processo riformatore, articolatosi per slogan, errori e contraddizioni.
La superficialità e il dilettantismo del presunto legislatore costituente del 2016 arriva a questo punto e l’unico efficace rimedio appare, pertanto, il voto popolare che richiami, con un giudizio negativo, il valore e l’impegno dei Costituenti veri e responsabili.
(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:58