
La fanfara con la quale il Governo strombazza e fa strombazzare dai media di supporto, la crescita del Pil dello zero virgola otto, zero virgola nove per cento, la dice lunga sul livello di disperazione nel quale si trova.
Festeggiare, infatti, non solo una crescita frazionale, ma chiaramente viziata dalla interpretazione dei dati Istat e dalla politica della Banca centrale europea, è la testimonianza della persistenza dei mali italiani. Del resto non è un caso che gli altri Paesi crescano più di noi, o nei casi simili registrino problemi piuttosto che vittorie e trionfi. Solo in Italia si brinda al successo fidando che l’enfasi di accompagnamento possa suggestionare la fiducia nel futuro e nelle capacità del Governo. Oltretutto l’approssimarsi del voto referendario, con i sondaggi che circolano, insieme alla paura per la sconfitta, ha amplificato l’ipocrisia politica che da anni domina la scena. Qui non si tratta di remare contro, di essere gufi, pessimisti o poco obiettivi, ma più semplicemente di rilevare che la crescita acquisita non sia affatto il preludio della riscossa e del decollo del Paese.
Infatti, non mettere nel conto quanto gli straordinari ormoni monetari della crescita somministrati a valanga dall’Eurotower, stiano alterando la realtà strutturali dell’economia, è una ipocrisia pericolosa e scriteriata. Tanto è vero che gli analisti più avvertiti insistono nel temere gli accadimenti nel momento in cui la Bce cambierà politica monetaria e cesserà questa sorta di doping finanziario a favore della crescita. Ecco perché lo zero virgola è una minuzia, ecco perché c’è poco da cantare vittoria, ecco perché si è sprecata un’occasione irripetibile.
Insomma, per dirla più chiara, è come se una famiglia indebitata fino al collo ricevesse da un benefattore un prestito enorme senza interessi, per ripianare e contemporaneamente chiudere le fonti di debito e lo usasse, invece, per strombazzare ricchezza e solvibilità. La nostra è una crescita malsana. Infatti, è una crescita che non deriva dall’eliminazione dei buchi neri di bilancio, da un concreto aumento dell’occupazione e dei volumi di reddito, da una tangibile ripresa dei consumi e della produzione. Al contrario, con Matteo Renzi siamo andati ad appesantire le spese strutturali e improduttive, i costi per un’immigrazione incontrollata che da emergenza si è trasformata in “normalità” e le uscite per salvare le banche senza obbligarle però a contropartite a favore dell’economia reale. Come se non bastasse si è elusa ogni riforma profonda sul fisco, sulla giustizia, sul welfare, sulla burocrazia, per concentrarsi su una riscrittura della Carta pessima, rischiosa e ingarbugliata. Tanto è vero che il Paese funziona come e peggio di prima e tutto tende al tracollo, dai servizi pubblici alla sicurezza, dalla gestione dei conti centrali a quelli locali, dal malaffare ai disagi popolari.
Ecco perché siamo di fronte a una crescita viziata, minima e malsana, perché tutti quegli elementi connotativi di un Paese che migliora, riprende slancio e accresce la qualità dell’offerta, non si vedono e non si sentono. Del resto buttare più acqua in una vasca dove non si sono tappati i buchi non produrrà mai un aumento del livello, ma solamente un gorgoglio suggestivo e temporaneo utile alle farse elettorali. In buona sostanza stavamo male e stiamo male e quel poco di Pil che sale non è l’antibiotico che fa effetto, ma l’aspirina che per un po’ abbassa la febbre e offre all’ipocrisia il destro per cantar vittoria. Serve altro, serve un coraggio e una capacità che questo Governo non ha perché non può e non vuole avere; serve un’idea di Paese che questo Esecutivo legato e vincolato non possiede, serve una spinta innovativa che questa maggioranza arrogante e posticcia non è in grado di dare. Anche per questo sarà importante la vittoria del “No”, sarà un punto di partenza e di svolta per un’Italia da recuperare e restituire definitivamente a un futuro diverso e migliore.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:53