Ma quale disprezzo delle minoranze

Renzi sferza Bersani, Speranza e D’Alema definendoli “i teorici della ditta quando ci sono loro e dell’anarchia quando ci sono gli altri” e la Leopolda insorge contro la minoranza gridando “fuori! fuori! fuori!”. Apriti cielo, tutti i commentatori a paragonare il divorzio tra Bersani e Renzi al più famoso “che fai, mi cacci?” di Fini contro Berlusconi ed a scandalizzarsi di fronte ad un attacco così violento ai danni dei poveri “rottamati”.

Intendiamoci, la riforma costituzionale, così come già scritto su queste stesse pagine, non ci piace così come non ci appassionano gli annunci riformatori di questo Governo dietro cui, spesso e volentieri, si cela il vuoto cosmico. Invece la verità ci interessa non poco e quindi, per restituire una parvenza di autenticità ai fatti, ci vediamo costretti a puntualizzare un paio di cosette; foss’anche a favore di un pallone gonfiato come Matteo Renzi.

Riavvolgiamo il nastro delle vicende politiche degli ultimi tempi: il Premier lancia una grande campagna mediatica per sponsorizzare la propria riforma istituzionale nel tentativo di spacciare per evento epocale una serie di modeste modifiche costituzionali rabberciate e raccogliticce, ritrovando sul proprio cammino una minoranza Pd più agguerrita dell’opposizione. Il tentativo malcelato da Bersani dietro la difesa della Costituzione è quello di far cadere Renzi passando per l’insuccesso roboante alle urne. Il tutto dopo aver passato una vita ad invocare la disciplina di partito, le regole condivise ed il senso di una comunità politica tenuto insieme da profonde radici valoriali (la ditta appunto). E cosa doveva fare Renzi di fronte ad un sabotaggio in piena regola ordito da chi non si rassegna ad essere marginale ed invoca l’unità quando è maggioranza nel partito e la libertà di coscienza quando è all’opposizione? Doveva forse porgere l’altra guancia?

Renzi si è difeso ed a nulla valgono i tentativi di qualche bacchettone di buttarla sull’educazione e sul bon ton perché, fino a prova contraria, non è che gente del calibro di D’Alema abbia assunto comportamenti da educanda quando si trattò di far cadere Prodi o di disarcionare Occhetto relegandolo in un sottoscala del bottegone fino a costringerlo all’abbandono. E Renzi restituirà solo pan per focaccia se, a valle del referendum e nel perfetto stile della casa, vorrà punire i dissidenti non facendo prigionieri. Cosa si aspettavano di fronte ad un colpo basso? Forse comprensione per le ragioni della dissidenza?

Da ultimo ci corre l’obbligo di confutare l’accostamento tra il “che fai, mi cacci?” di Fini contro Berlusconi ed il “fuori! fuori! fuori!” della maggioranza Pd nei confronti della minoranza. Si vorrebbe far credere che Fini, come del resto Bersani, siano le vittime sacrificali di una brutta razza di tiranni che, utilizzando il partito in maniera padronale, si siano resi artefici di espulsioni o antidemocratiche repressioni di stampo politico. Fini, come del resto Bersani in questo frangente, ha tentato fino all’ultimo di sabotare il partito nella speranza di distruggere tutto per poi governare la ricostruzione. Parlava di discontinuità, di cambi di passo, di fase B, si abbandonava a quotidiane esternazioni tese a creare fibrillazioni, onde poi accorgersi di non riuscire a toccare palla cercando infine una resa dei conti che gli potesse consentire di gridare all’epurazione. Fini ha avuto un epilogo di carriera indegno e Bersani lo segue in scia, dimostrando di non aver imparato nulla dagli insuccessi altrui. Adesso sono seduti allo stesso tavolo del “No” uniti anche dal tragico limite costituito dal non saper accettare che in un partito si può stare lealmente anche in minoranza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:01