La gioia del passato, le lacrime del presente

L’altro giorno Monica Puliti, collega del Corriere di Rieti, ha postato su Facebook una riflessione che ben sintetizza l’attuale stato d’animo di chi vive nelle aree del centro d’Italia colpite dal terremoto: “Ogni scricchiolio o folata di vento è un sussulto e gesti normali che smettono di esserlo, perché viziati dalla paura: in redazione e in casa con la porta aperta (quando si può), il parcheggio dell’auto distante dagli edifici, l’occhio sui muri di qualsiasi locale in cui si acceda, uno stato d’animo in continua tensione... poi scorrono le immagini di interi borghi - il cuore del nostro paese - e comunità cancellate in pochi attimi e gli occhi si riempiono di lacrime, tiri un piccolo sospiro di sollievo perché tu e le persone a cui vuoi bene sono intorno a te... ma è solo un attimo, l’ansia torna subito”.

Già, l’ansia: quella che ti assilla anche se tutto intorno a te è tranquillo, quando ti fai forza e provi a ricominciare. Poi il “Mostro” (come lo ha definito l’indomito sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi) ti dà la zampata che non ti aspetti e che ti fa riprecipitare nell’incubo. Giornali e tivù descrivono come quel maledetto “mostro” ha ridotto luoghi che per molti simboleggiano piccole parentesi di vita, di spensieratezza, di un passato i cui simboli sono stati (forse) definitivamente annientati in un attimo. Ussita, Norcia e quel negozietto dopo la splendida porta della città dove si acquistavano i tipici prodotti gastronomici locali; Leonessa, Cascia con la “sua” Santa Rita e la casa natia di mia madre (chiedo scusa per il riferimento personale) che se ne è andata a miglior vita appena in tempo per non assistere a questo scempio, Amatrice ed il suo albergo-ristorante Roma dove si mangiava una amatriciana circondati da un ambiente di rara meraviglia. Tutto spazzato via, ricordi e realtà “cancellati in pochi attimi e gli occhi si riempiono di lacrime”: del resto, tranne che nel caso di qualche imbecille che grida al complotto o di qualcun altro che plaude per la distruzione dei luoghi di culto (il cui valore è talmente pregiato da non essere apprezzato da certi stolti), come si fa a non avere un nodo in gola di fronte a tale distruzione? La gioia a ripensare a momenti del passato, le lacrime guardando il presente.

Mi fa sicuramente piacere sapere che, sempre tramite i social network, molte persone “stanno bene” magari a 200/300 chilometri dalle zone terremotate: ma vedere la propria abitazione ridotta ad un cumulo di macerie, sapere che l’inverno si avvicina ed i propri animali non hanno un ricovero, dormire in una macchina o in un camper è davvero un’altra cosa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:00