Vanitosi e creduloni nella politica italiana

I peggiori momenti della storia d’Italia sono stati determinati dalla predominanza di governanti vanitosi ed elettorati creduloni. I primi, affermatisi conquistando voti con il presentarsi piacenti, simpatici; i secondi, massificati dalla dabbenaggine e dalla corrività. Insomma, gl’incantatori e gl’incantati, due categorie che il popolo italiano conosce fin troppo bene.

Enzo Palumbo, già parlamentare liberale, nel corso della presentazione del libro di Giancristiano Desiderio “Lo scandalo Croce”, ha ricordato a riguardo una pagina straordinaria di Benedetto Croce (tutto Croce è straordinario!), tratta dai “Diari” alla data 2 dicembre 1943. Una pagina che dimostra per l’ennesima volta uno dei più celebri assunti crociani, cioè che la storia è sempre anche storia presente e del presente. Infatti, dalla pagina che sto per citare, provengono gli echi della vicina contemporaneità e dell’attualità addirittura.

Scriveva dunque Croce, nella temperie del dopo 25 luglio e 8 settembre 1943: “Anche a me di rado sale dal petto un impeto contro di lui al pensiero della rovina a cui ha portato l’Italia e della corruttela profonda che lascia nella vita pubblica (...) Ma pure rifletto talvolta che ben potrà darsi il caso che i miei colleghi in istoriografia fors’anche lo esalteranno. Perciò mentalmente m’indirizzo a loro, colà, in quel futuro mondo che sarà il loro, per avvertirli che lascino stare, che resistano alla seduzione delle tesi paradossali e ingegnose e ‘brillanti’, perché l’uomo, nella sua realtà, era di corta intelligenza, correlativa alla sua radicale deficienza, di sensibilità morale, ignorante, di quella ignoranza sostanziale che è nel non intendere e non conoscere gli elementari rapporti della vita umana e civile, incapace di autocritica al pari che di scrupoli di coscienza, vanitosissimo, privo di ogni gusto in ogni sua parola e gesto, sempre tra il pacchiano e l’arrogante”. E aggiungeva Croce: “Chiamato a rispondere del danno e dell’onta in cui ha gettato l’Italia, con le sue parole e la sua azione e con tutte le sue arti di sopraffazione e di corruzione, potrebbe rispondere agli italiani come quello sciagurato capopopolo di Firenze, di cui ci parla Giovanni Villani, rispose ai suoi compagni di esilio che gli rinfacciavano di averli condotti al disastro di Montaperti: “E voi, perché mi avete creduto?”. Domanda tra l’evangelico e lo shakespeariano, questa che Croce riferisce per evocare l’essenza politica del rapporto tra governanti e governati, con o senza democrazia. Caduta la classe politica del centro degasperiano, dei ricostruttori dell’Italia postbellica devastata e in macerie; finiti gli uomini senza vanità dispregiatori dei creduloni; la perniciosa genia dei vantoni e dei gonzi ha ripreso il sopravvento in misteriosi cicli ventennali, come una malattia che strema la nazione assoggettandola a ricadute. Perciò, prima di una nuova Montaperti, i cittadini dovrebbero convincersi in tempo dell’abbaglio e dirgli in anticipo: “Non possiamo crederti”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:56