Barba, zaino e felpa:   la politica scamiciata

Un aforisma, un commento“Sono sempre più numerosi i politici e i giornalisti televisivi che si presentano al pubblico con camicia aperta, barba incolta e blue jeans, più o meno stracciati, credendo di apparire dinamici, giovani e attenti alla sostanza più che alla forma. In realtà, l’unico risultato è che perdono il voto di sarti, barbieri e produttori di cravatte”.

Che sia un segno di postmodernità o piuttosto di eclissi del buon gusto è incerto. Ciò che è sicuro è che, pur di apparire come gente normale per riscuotere simpatia e consenso, vari uomini pubblici, politici e giornalisti televisivi in particolare, indulgono a manifestazioni esteriori che sfiorano il ridicolo. Eccoli davanti alle telecamere trascinando valigette con rotelle o portando piccoli zaini sulle spalle per poi prendere la parola dal palco senza giacca né cravatta come per sottolineare la loro “diversità” rispetto alla politica al doppiopetto del passato. Non so se simili banalità siano dovute ai suggerimenti dei cosiddetti consulenti per la comunicazione ma, di fatto, si tratta di un fenomeno in espansione.

A mia memoria, il primo ad indossare una camicia, rigorosamente bianca, con cravatta e senza giacca è stato Gianni Riotta al Tg1, una decina di anni fa. Ma anche Federico Rampini, presumibilmente persuaso dall’immagine di Larry King, giornalista americano di successo negli scorsi decenni, si presenta in televisione esibendo monotone bretelle e, ovviamente, con la sola camicia. Anche Matteo Renzi e Stefano Parisi, fra gli altri, sono seguaci di questa scuola di pensiero e non perdono occasione per mostrarsi con la camicia bianca d’ordinanza e talvolta in blue jeans. Altri, come Matteo Salvini, disdegnano tutto e si vestono come capita. Per ora mancano solo i tatuaggi, ma non bisogna disperare. Quanto alla barba, antico simbolo di saggezza e autorevolezza, è non di rado portata senza alcuna cura, come quella di chi, alzandosi la mattina della domenica, preferisce far riposare la pelle e lasciare da parte il rasoio per poi andare a correre in un parco. Quella che fino a poco tempo fa sarebbe stata definita trasandatezza è oggi intenzionalmente perseguita come modalità di presentazione della propria “immagine” come qualcosa di quotidiano, da gente attiva e contraria alle rigide uniformi.

D’altra parte, una volta generalizzata, essa stessa diviene un’uniforme, un messaggio privo di qualsiasi originalità e tale da gettare qualche ombra sulla capacità critica di chi vi aderisce, cosa non secondaria in politica. Certo sarebbe difficile immaginare Mariano Rumor con barba incolta, avvistare Luigi Einaudi entrare a Palazzo Koch con uno zainetto sulle spalle, ammirare Amintore Fanfani in blue jeans o vedere Giovanni Malagodi in un comizio con camicia aperta sul petto. Ma quella era la Prima Repubblica e, si sa, la Seconda ha smitizzato la forma esteriore per privilegiare la sostanza. Ma è solo pubblicità ingannevole.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:51