
Ormai impaurito per la probabile sconfitta, il cantastorie fiorentino fa il giro continuo delle tivù e delle radio, anche quelle private e locali, sperando in un improbabile miracolo sul referendum. In diretta, in una radio privata ma di dimensioni nazionali, ha parlato pure del Ponte sullo Stretto: “Sono dieci anni che dico la stessa cosa: primo, mettere soldi nell’edilizia scolastica; secondo, banda larga; terzo, bisogna fare un grande piano di infrastrutture, di completamento di quelle che mancano; quattro, bisogna far viaggiare i treni in Sicilia, sono un’offesa al trasporto pubblico locale; quinto, bisogna mettere a posto i viadotti in Sicilia. Quando si sono fatte queste cose non parlare di ponte (solo non parlare? ndr) perché l’ha detto Silvio Berlusconi, mi sembra francamente un non senso”.
Si è dimenticato, poverino, che prima bisogna approntare un grosso intervento antisismico (nello Stretto ci sono faglie pericolose anche se meno del Giappone e della California); che nelle due Regioni interessate al Ponte è prioritaria la difesa del territorio; che va tenuto costantemente sotto osservazione il tubo della condotta dell’acqua a Messina per evitare che non si rompa nuovamente; e poi c’è la salute, gli impianti sportivi, l’assistenza agli anziani, e poi, poi, poi... bè troverà qualche altra cosa. Conclude l’intervista con un “perché bisogna dire di no a un’opera che può portare i treni da Napoli a Palermo, una volta che si è finito tutto il resto, su cui c’è un contratto, perché bisogna dire di no a livello teorico?”.
Quest’ultima considerazione la dice lunga su un Premier che sconosce quanto serve il Ponte all’intero Paese. Egli pensa che sia solo una infrastruttura che serva soprattutto al pendolarismo e utile solo per accorciare i tempi di trasporto delle popolazioni siculcalabre col resto d’Italia e con l’Europa. Certo serve anche a questo, e serve anche al turismo, ma il motivo principale è quello di rendere operativo l’ex Corridoio 1 (Berlino-Palermo) programmato, dalla vecchia Europa, per il trasporto ferroviario delle merci che con la globalizzazione hanno raggiunto cifre consistenti.
Nel Mediterraneo, infatti, scorre un vero e proprio “fiume di petrolio”, rappresentato da ben 5 milioni di container al mese da e per l’Estremo Oriente, che finora l’Italia ha rifiutato di utilizzare arrivando, addirittura, tramite il professor Mario Monti, a far approvare al Parlamento una legge per rescindere un contratto regolarmente vinto da una cordata di imprese italiane e straniere, col rischio di far pagare penali pesanti allo Stato italiano (è in corso, infatti, a tale proposito una causa civile per il risarcimento). L’utilizzo anche parziale di questo “fiume”, per un Paese senza materie prime naturali, sarebbe una vera manna dal cielo.
L’Italia potrebbe veicolare dai suoi porti a Nord e a Sud, sulle linee ferroviarie, una discreta fetta di container raddoppiando, come minimo, l’attuale movimentazione con grande beneficio sia dei porti container (come Gioia Tauro, Trieste, Genova e La Spezia) sia di quelli che attualmente sono in estrema difficoltà (come Taranto e Augusta). Se poi si pensa all’attività ferroviaria, collegata a quella portuale, si capisce quanto sia indispensabile il Corridoio 1 nella sua interezza e quanto potrebbero “produrre” le ferrovie italiane per poter rinnovare totalmente la propria rete, e non solo al Nord.
Ma Renzi, come prima di lui Monti e Letta, è sordo e cieco. Non è uomo del fare ma è solo uomo del dire e del galleggiare. L’annuncio è la sua specialità che, col combinato disposto delle mancette, fatte o annunciate, ha governato finora e spera di consolidare questo potere con la distruzione della Costituzione. Finora ha illuso un po’ tutti. Ma è un gioco che non regge più. I sondaggi lo condannano inesorabilmente. Il “No” allo stravolgimento della Carta è in continuo aumento via via che si riducono i cittadini che ancora non hanno deciso come votare.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:55