
Il referendum sulla nuova Costituzione manifesta in modo evidente la patologia di un modo distorto di fare politica del nostro Paese.
Non so se questa patologia italiana di vivere una scadenza elettorale o referendaria come apocalittica sia un virus endogeno del nostro popolo o sia una malattia indotta dai mass media su scala internazionale mediante un tentativo di omologazione globale dei popoli. Quando ci fu la battaglia sul divorzio si diceva che se vinceva il “No” si sarebbero distrutte le famiglie, ma come sappiamo ciò non è successo, lo stesso si disse sull’aborto che se vinceva il “No” tutte le donne sarebbero corse ad abortire, e oggi Matteo Renzi ci dice che se vince il “No” l’Italia entrerebbe in una crisi spaventosa.
Questo approccio manicheo e apocalittico per cui si fa credere che una scelta produce ripercussioni irreversibili sul sistema Italia è purtroppo tipico di ambedue gli schieramenti. Quelli del “Sì” dicono che se perdono l’Italia sarebbe istituzionalmente instabile, quelli del “No” dicono che se vince il “Sì” finisce la democrazia; inoltre, all’interno dello schieramento del “No” ci sono anche le vestali sull’intoccabilità della Costituzione perché nata dalla Resistenza, non rendendosi conto che così portano l’acqua al mulino del “Sì”, dimenticandosi che qualunque attività umana è perfettibile specialmente con il passare degli anni.
In questa campagna referendaria si rende evidente la schizofrenia politica istituzionale creatasi con la falsa rivoluzione giudiziaria del 1992. Infatti coloro che votano “Sì” stanno in compagnia di coloro che l’hanno realizzata, i quali sono anche coloro che a sentire il termine socialista provano ribrezzo (il caso Sala a Milano docet). Coloro che votano “No” si ritrovano in compagnia di strani personaggi, da Massimo D’Alema a Matteo Salvini, da Nichi Vendola a CasaPound, tutti uniti in gran caravanserraglio con idee per il dopo sicuramente contrastanti. Comunque c’è una grande differenza: nello schiarimento del “Sì” si sono accomodate quelle forze economiche nazionali ed internazionali che hanno voluto “Mani Pulite”; nello schiarimento del “No” ci sono coloro che sono stati gli “utili idioti” di Mani Pulite e nel “Sì”, dunque, ci sono i mandanti. Certamente il comitato del “Sì” ha messo in piedi una forte iniziativa demagogica nell’interesse del Premier. Se si voleva una tranquilla consultazione referendaria bastava dare ascolto ai Radicali che hanno proposto lo spacchettamento dei quesiti. Il Premier invece, proprio nella ricerca di un suo successo personale, ci obbliga ad accettare o rifiutare tutta la proposta, come se fosse un braccio di ferro, tra lui - nuovo unto del Signore - in un rapporto diretto con il popolo, in una nuova forma di cesarismo all’italiana che esclude i corpi intermedi della società.
Dietro il referendum si sta giocando una partita politica alla quale del referendum importa poco. Il quesito referendario è uno strumento per rivedere i rapporti di forza tra le varie forze di Governo, dentro la sinistra, e verificare se l’elettorato di centrodestra sia o non sia in uno stato comatoso. Dunque la riforma costituzionale nei fatti è uno strumento di piccolo cabotaggio strategico per l’attuale Presidente del Consiglio e non una riforma. Ma già nella sua genesi del provvedimento di riforma costituzionale si nota che l’obiettivo è altro, perché una riforma costituzionale di norma richiede un’Assemblea costituente che conviva con il Governo, eletta con il sistema proporzionale e che non sia condizionata dal consenso elettorale immediato, com’è invece la necessità sia della maggioranza che dell’opposizione.
La Costituzione rappresenta le regole di convivenza di un popolo, la sua identità, i suoi princìpi e i suoi valori; gli articoli che la compongono sono la prima rappresentazione generale di questi princìpi e regole a cui poi il legislatore si dovrà attenere nel promulgare le leggi; e la Corte costituzionale veglierà sulla loro osservanza. Certamente c’è la necessità dopo più di sessant’anni di rivedere in modo organico ed armonioso l’impianto costituzionale, l’attuale sistema è bifronte perché è figlio di una legge elettorale maggioritaria su una Costituzione di impianto proporzionale. La riforma non affronta minimamente il problema della stabilità dell’Esecutivo, che sarebbe possibile solo con una scelta presidenziale, semipresidenziale o con il premierato; tutte modifiche che andrebbero approfondite con un’Assemblea costituente per calibrare i pesi e contrappesi ai vari poteri. Inoltre, solo con un’Assemblea costituente è possibile mettere mano all’invadenza di ruolo della magistratura, a cominciare dall’abolizione del Consiglio superiore della magistratura, perché non si è mai visto che i procedimenti disciplinari e di valutazione di carriera siano gestiti in un modo autoreferenziale che ha provocato la politicizzazione e l’anarchia di una fetta importante di magistrati.
Ecco, i veri motivi del “No” sono per il bene del Paese e non per uno scontro tra fazioni talebane del “Sì” e del “No”. Si deve votare “No” per avere un’Assemblea costituente.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:50