
Nell’Italia 2.0 di Matteo Renzi e Beppe Grillo c’è ancora spazio politico per un centrodestra? Questo è il vero interrogativo che dovrebbero porsi i vari Parisi, Salvini, Gelmini, Sacconi, Lupi e compagnia cantate reduci dall’ennesima rimpatriata. Da kermesse “professorali” come le ha sagacemente bollate l’indomito Cavaliere.
Ma, onestamente e realisticamente, ci si poteva attendere qualcosa di diverso o di migliore? Sinceramente no. Ognuno ha fatto la propria parte in una realtà politica che non ha più bisogno del “progetto” centrodestra. Non del centrodestra vecchia maniera incarnato da Silvio Berlusconi, bensì di un’alleanza di centrodestra tout-court. E non c’è aggettivo che tenga: nuovo, moderno, europeo... Oggi in Italia uno spazio per l’offerta ideale e politica del centrodestra non sembra esistere più. La sua meritevole funzione storica è terminata (come capitò per la cosiddetta Prima Repubblica) con l’avvento dei “Governi tecnici”. Le sue battaglie: velocità nelle decisioni, meno tasse per tutti, meno burocrazia, via i professionisti della politica, e la sua spinta innovativa oggi sono - che lo si voglia o no - incarnate in parte da Renzi e, ancor di più, da Beppe Grillo che - per molti versi e per contro - impersona anche le istanze della sinistra e della destra più radicali (no all’Euro, no all’Europa, sì ad un reddito “politico” di cittadinanza) tanto che la stessa Lega salviniana dopo aver toccato l’apice nelle elezioni europee, registra un progressivo e costante decremento nei consensi, nonostante l’immigrazione (il cavallo di battaglia o di “Troia” - a seconda dei punti di vista - di Matteo Salvini) resti il fulcro dell’agenda politica nazionale, comunitaria ed internazionale.
L’unico ad aver capito la sinfonia sembra essere ancora una volta Berlusconi, che è capace come nessun altro di serrare all’occorrenza le fila per non mollare - finché i grillini dall’Aventino glielo consentiranno - il tavolo del potere.
Lo si è visto recentemente sul terremoto (“sosterremo tutte le iniziative che il Governo metterà in campo”) come qualche mese fa in politica estera (si ricordi la disponibilità del “Silvio nazionale” a fare da ambasciatore del Governo Renzi presso l’amico Vladimir Putin) e lo si vedrà - c’è da immaginarlo - sulla riforma dell’Italicum (non a caso Forza Italia non ha presentato alcuna proposta di modifica) se non, addirittura, sul referendum costituzionale raccogliendo - all’uopo (due mesi sono più che sufficienti per “cambiare idea” anche ai colonnelli) - le sirene di alcuni tra i più autorevoli intellettuali che animarono la prima Forza Italia e che hanno annunciato l’appoggio al Sì.
Come in una sorta di gioco dell’oca, la storia politica sembra ripetersi: sempre uguale e sempre diversa. Il centrodestra sta ripercorrendo lo stesso sentiero. Come allora l’elettorato rimase, i partiti no. La domanda politica era cambiata e l’offerta dovette adeguarsi.
Oggi, al di là delle parate, dei sondaggi, degli improbabili listoni, delle buone intenzioni, un reale spazio politico per un’offerta politica di centrodestra non sembra disponibile. Semplicemente perché la domanda è mutata. Eppure, oggi, come allora, sarà l’elettorato orfano del passato a decidere il futuro politico del Paese decretare a partire dal proprio dal referendum costituzionale. Metafora aggiornata del 1993.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:48