E quando Draghi lascerà la Bce?

Non solo non è vero che con la vittoria del “No” (probabile e auspicabile) si scatenerà l’inferno ed i mercati ci assaliranno, ma questa scusa oltreché cercare di favorire il “Sì” distrae la gente dal vero problema.

I mercati, infatti, per attaccarci, ammesso che sia, aspettano tutt’altro momento e in particolare aspettano che Mario Draghi lasci la Banca centrale europea. Sarà quella la fase più rischiosa e pericolosa per l’Italia, anche perché la Germania dei falchi non aspetta altro per proporre Jens Weidmann alla successione della guida di Eurotower. Weidmann, infatti, attuale capo di Bundesbank, ha tutt’altra concezione della politica monetaria di Draghi e certamente una volta alla guida della Bce non esiterebbe un secondo a praticarla. Cesserebbe dunque il Quantitative easing e la politica dei tassi bassi, cesserebbero le operazioni non convenzionali di rifornimento alle banche, cesserebbero tutta una serie di atteggiamenti accomodanti.

I falchi tedeschi, si sa, non amano l’Euro troppo basso, non amano la flessibilità, non amano la tolleranza e soprattutto non amano l’Italia. Come se non bastasse, da quando c’è Draghi hanno dovuto ingoiare, loro malgrado, una serie di interventi della Bce che, secondo loro, erano tesi a favorire e tamponare errori, sbagli e sciatterie del nostro Paese. Dunque, il vero e più grande momento critico per l’Italia coinciderà con la scadenza del mandato di Mario Draghi. Il guaio è che non manca molto e che noi, specialmente con il Governo Renzi, anziché mettere a frutto gli interventi della Bce affiancandoli con una serie di provvedimenti utili al risanamento e alla crescita, abbiamo dissipato altre risorse. Tanto è vero che il debito pubblico è aumentato, il Pil si è mosso di niente così come il mercato del lavoro. Come se non bastasse, si è pensato di favorire in ogni modo le banche senza contemporaneamente obbligarle ad erogare adeguatamente liquidità all’economia reale e alle famiglie.

Insomma, si è sprecato tempo e risorse per correre dietro all’avidità di consenso di Matteo Renzi, al suo senso di grandezza e oracolarità, alle sue dispute personali ed elettorali. Non si è fatta quella rivoluzione fiscale che sarebbe stata necessaria non solo per diminuire e semplificare draconianamente il sistema, ma per pacificare il patto fra Stato e contribuenti che tutt’ora è vicino al collasso. Oltretutto della solenne promessa di Renzi di chiudere Equitalia, come per tante altre, non si sa più nulla. Non si è avuto il coraggio di intervenire sulla previdenza per correggere, una volta per tutte, la vergogna dei cosiddetti diritti acquisiti riguardanti vitalizi, pensioni d’oro e privilegi vari che costano miliardi. Non si è fatta una grande riforma del sistema sanitario, della giustizia, del mastodontico apparato pubblico e degli Statuti speciali regionali, che consentono sperperi e ruberie da capogiro. Non si è decapitata la burocrazia e si sono lasciate in piedi strutture statali inutili a tutto, che divorano risorse e non danno niente in cambio.

Insomma, dopo tre anni di Renzi, che non sono pochi e nonostante la grande capacità di Draghi di fare il possibile e l’impossibile, non si è colta l’occasione per realizzare quello che veramente sarebbe servito. Al contrario si è pensato di proporre una riforma costituzionale, impegnando fino all’ossessione la maggioranza, che riduce gli spazi di democrazia e non elimina i veri mali del Paese. Ecco perché stiamo messi malissimo, perché non siamo nemmeno lontanamente al sicuro e perché quando Draghi passerà la mano potrebbero essere dolori grandi davvero. Eppure un po’ di margine ancora ci sarebbe e con la prossima finanziaria potremmo coglierlo seppure in zona “Cesarini”; per questo facciamo appello alla responsabilità del Governo e della maggioranza.

Caro Renzi, lasci perdere l’esito del referendum, che è scontato, vista la paccottiglia di riforma proposta, corregga invece il tiro e pensi al Paese, che il mandato di Draghi è all’ultimo giro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:50