
Profondamente convinto che Massimo D’Alema non necessiti di qualsivoglia difensore, resta il fatto che non si può tacere a cospetto della barbarie oratoria che caratterizza Matteo Renzi.
Pur militando in diverso partito, lo scrivente non può dimenticare quel periodo politico barese, soprattutto le lezioni di vita di Giuseppe Tatarella: c’invitava a cercare il dibattito col giovane Massimo D’Alema e non necessariamente lo scontro. Quest’ultimo doveva rimanere rigorosamente nei canoni estetici della “buona politica”, del confronto oratorio di ciceroniana memoria. Memore di questo ci si chiede che reazione avrebbero sortito certe lezioni qualora impartite ad un Matteo Renzi: la risposta probabilmente sarebbe stata una risata di scherno, una battuta crassa… insomma il solito canovaccio pseudo boccaccesco che contraddistingue il Presidente del Consiglio (non fraintendiamo, Renzi non è paragonabile al Boccaccio, ma solo a qualche personaggio delle novelle). Ma non abbassiamoci al livello del Matteo nazionale, perché di argomenti da commedia piccante ce ne sarebbero da riempire sceneggiature fino alla nausea, e solo a sentire gli scambi di battute di certi commensali del leader fiorentino. Il livello di buona politica del Governo D’Alema (pur biasimando l’intervento guerresco in Serbia) rimane vetta irraggiungibile per il piazzista di Palazzo Vecchio. Perché il buon Matteo si è dimostrato privo della benché minima previsione politica di medio-lungo periodo, al punto da essersi dimostrato capace di rituffare l’Italia negli anni bui della negazione dei diritti dei lavoratori, dello sfruttamento indiscriminato delle risorse (vedasi casi petrolio, acqua, energie varie ed agricoltura), del blocco totale dell’ascensore sociale, di una fissità sociale della classe settecentesca (degna del racconto della Francia di Giacomo Casanova ne Histoire de ma vie e Memorie).
Ribadendo che non si vuole assolutamente difendere D’Alema, va comunque detto che si scrive all’ex Presidente del Consiglio e non all’attuale, poiché è noto che Renzi sa poco dei personaggi citati e, per dirla con le parole del compianto Franco Sorrentino (D’Alema lo ricorderà) “tra D’Alema e Renzi c’è una distanza di almeno ventimila libri, naturalmente a favore del primo”. Quindi si stenta a credere che Massimo D’Alema “ha messo solo la firma” sul volume “Un Paese normale”, la battuta di Renzi è povera e tipica di chi non aduso alla lettura ed al rispetto verso l’opera letteraria. Del resto non si può dimenticare che l’attuale Presidente del Consiglio ha bollato come spreco i soldi spesi in giornali, cinema, teatro… perfettamente in linea col sottosegretario di Mario Monti all’Editoria, Carlo Malinconico, che nei primi mesi del 2012 ebbe a sentenziare che “in Italia basterebbero tre o quattro giornali”. È logico credere che di questi personaggetti impolitici (passatemi la battuta alla Vincenzo De Luca) l’Italia ne abbia ben pieni gli attributi maschili. Personaggetti che si sono arrogati il ruolo di commissariatori dell’Italia in nome dell’Unione europea e della Merkel. Ecco che la risposta di D’Alema a Renzi e “compari di merenda” s’è dimostrata di valenza politica: “Mi riconosco pienamente nelle parole del Presidente della Repubblica, che la sovranità appartiene al popolo italiano e che ci può essere confronto sereno e senza drammi perché l’esito del referendum non è destinato a creare tragedie - ha detto D’Alema - Per il resto dalla signora Merkel mi aspetterei più investimenti in Europa e meno parole su questioni che riguardano il nostro Paese... La vittoria del No è la migliore garanzia di stabilità della legislatura. Io non chiedo le dimissioni di Renzi - ha proseguito - non mi occupo di Renzi, ma della Costituzione repubblicana e del funzionamento della democrazia nel nostro Paese, contro una riforma che considero confusa, sbagliata e dannosa”.
Per l’ex Premier, “solo il Parlamento può modificare la legge elettorale e l’unico modo per farlo è che al referendum vinca il No”. È evidente che sarà molto difficile liberarsi di Renzi, anche qualora vinca il “No”. Perché la storia dell’uomo ci ha insegnato come le masse tendano a seguire il pragmatismo di chi vive in maniera becera e immediata la vita pubblica. E su quest’ultimo aspetto D’Alema concorda, affermando che Renzi “è intelligente, capace di riciclarsi, non credo che politicamente finirà”. Certamente dobbiamo imputare a tutti i partiti (non solo al Partito Democratico) di aver venduto, e per viltà, la figura di Renzi come “Uomo della Provvidenza”, non è escluso il Premier si sia documentato. Soprattutto da buon cattolico (scautista per vocazione) si sarà immedesimato nell’appellativo che papa Ratti calzò su Mussolini, uomo della Provvidenza appunto. Ecco che a riforme, legge elettorale e jobs act ha fatto seguito il “Partito della Nazione” o partito unico. Renzi nel solco di Bettino Craxi, Benito Mussolini e Giovanni Giolitti? Per carità non ha letto nulla di loro, ha solo orecchiato le loro gesta in qualche film, un po’ come fanno i ragazzini quando vedono i film d’azione. Renzi è un prodotto da “Ruota della fortuna”. Per dirla alla romana, “gli ha detto culo”.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:03