Referendum: le armi di Renzi

Stanno costituendosi un po’ dovunque Comitati per il “No”: grandi e piccoli, espressione di forze politiche o germinazioni spontanee di gruppi di cittadini che “scoprono” le enormità ed il grottesco della “riforma” boscorenziana. Se funzioneranno, se, cioè non serviranno solo a fornire una presidenza a qualcuno, una vicepresidenza ad un altro ed un alibi per le coscienze un po’ di tutti, se, cioè, produrranno ciò per cui sono costituiti, cioè informazione e propaganda, potremmo cominciare a stare tranquilli. Perché la battaglia per il referendum è “aperta” e per noi tutt’altro che facile.

Se gli argomenti di quelli del “Sì” ben meritano di figurare nel nostro (e ci auguriamo, di molti altri) “stupidario”, se la cosiddetta riforma porta, oltre tutto il resto, l’impronta ed il certificato d’origine della grossolanità e della rozzezza giuridica e culturale, la controparte, che gestisce il fronte del “Sì” non è costituita da degli stupidi né tanto meno, mancano ad essa strumenti efficaci anche se, ed, anzi, tanto più perché sono illecitamente usati e tali da lasciar intravedere i peggiori aspetti di questa sciagurata manipolazione delle regole del giuoco e, più in genere, del “Renzismo” e del “Partito della Nazione”, in funzione dei quali essa è stata concepita ed ora viene difesa.

La cosiddetta “personalizzazione”, che Renzi ha dovuto riconoscere essere stata un suo errore, è stata tale perché ha scoperto le carte dei veri obiettivi della politica dell’ex boy-scout. Se il referendum deve riguardare la riforma della Costituzione, la sua ragionevolezza, la sua necessità ed opportunità, ciò non toglie che una personalizzazione invece c’è ed è indiscutibile: non quella del referendum, ma quella della riforma costituzionale, che Renzi ha concepito in funzione della sua visione del Pd come “Partito della Nazione”, partito sostanzialmente unico, secondo un modello, magari nuovo, ma non per questo meno pesante ed odioso, di autoritarismo. In questi giorni, che sono, poi, i giorni “rubati” ai termini naturali in cui il referendum doveva essere tenuto, Renzi sta mettendo in atto una strategia per il “Sì” al referendum, non meno ambigua e pericolosa della finalità della sua “personale” riforma della Costituzione.

Abbiamo già scritto della “Quinta colonna” (anzi, per la precisione, dovremmo parlare di “quinte colonne”) nei partiti schierati per il “No”. Di tanto in tanto si ha notizia di “autorevoli” organi di stampa o della finanza stranieri che esprimerebbero la loro “preoccupazione” per l’eventualità della vittoria del “No”. Sappiamo bene che quando certi soggetti stranieri aprono bocca sulle cose del nostro Paese, lo fanno seguendo gli impulsi dei loro portafogli ma guardando in casa nostra con gli occhi ed ascoltando con le orecchie di loro amabili cointeressati (ai portafogli) nostrani. Ma parlano più apertamente di questi ultimi.

Se è ridicolo sostenere che all’estero si sia preoccupati per la “governabilità” dell’Italia messa in pericolo dal “No”, è vero che molti potenti ambienti della finanza internazionale sono preoccupati delle sorti del Renzismo e dei suoi progetti “monocratici”. Come sempre certi ambienti hanno favorito ed avuto in simpatia regimi consimili (salvo poi a doversene pentire). Dai “grandi interessi” italiani e stranieri Renzi riceve appoggi e mezzi per la sua spregiudicata campagna. Ovunque c’è denaro, azioni, problemi di Borsa e, quindi giornali e giornaloni e, poi, banche (e bancarelle…) si lavora per Renzi e per il “Sì”, non certo per un’improvvisa incapacità di leggere le grottesche stupidità della riforma, ma solo perché essa “serve” all’ex boy-scout.

Bisogna avere gli occhi ben aperti per vedere quello che sta accadendo e può accadere anche in casa di Berlusconi, dove le manovre filorenziane, “nazareniche” e Silenziose di Confalonieri e pedissequi direttori di giornali non sono finite. Nessuno penserà che io possa avere simpatia per il grillismo, il suo movimento e l’antipolitica gaglioffa che li ispirano. Non solo, ma non potrò certo fare a meno di notare che la vicenda della Raggi, sindaco Cinque Stelle di Roma evoca il detto meridionale “Re Giuachino fici a leggi e fu impiso”. Nel suo caso, come in quelli di altri loro sindaci, i pentastellati sono andati a mettere la testa nel cappio giustizialista che essi stessi hanno predisposto con il principio che “l’indagato si deve dimettere entro cinque minuti”, una proposizione balorda di stolto supporto all’onnipotenza al Partito dei Magistrati (e dei suoi alleati, protetti e burattinai).

Ma la gazzarra che si è scatenata contro la Raggi, che finora non può aver avuto il tempo che di connettere qualche pur marchiana ingenuità, frutto proprio dell’inesperienza vantata come un merito, è la gazzarra organizzata da tutto un apparato mediatico che “porta Renzi” ed i suoi peggiori tirapiedi. Nessuno dei giornalisti che si prodigano per sputtanare la sindachessa sembra aver mai avuto sentore, che so, delle boiate di Crocetta in Sicilia di fronte alle quali quelle della Raggi sono piccolezze trascurabili. Dopo aver fatto atto di contrizione per la “personalizzazione” del referendum, Renzi cerca di sfruttare null’altro che la “personalizzazione”, chiedendo un “Sì” alla sua pretesa “insostituibilità”, che i media al suo servizio vanno spacciando e amplificando “spaccature”, dissensi e contraddizioni in casa dei suoi avversari e puntando sulle perduranti ed oramai grottesche incertezze sia della Sinistra Pd, sia di quanti a destra potrebbero essere sedotti dal Confalonierismo e dalle giaculatorie “nazareniche” di Cerasa e del Foglio.

Tutto ciò, come si diceva all’inizio, se è una strategia ed una tattica messa in atto nella battaglia per il referendum, è anche un chiaro avvertimento, una cartina di tornasole che consente di capire che cosa è il Renzismo, che cosa esso ci riserva in caso riuscisse anche ad imporci, con la riforma boscorenziana, anche le regole del giuoco del suo deprimente regime. Ancora una volta: non perdiamo tempo. La battaglia per il “No” ha una posta troppo preziosa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:52