Pronti per il dopo

Che non ci sarà alcun diluvio dopo la sconfitta di Matteo Renzi al referendum è scontato, primo perché sono già pronte almeno due ipotesi concrete di sostituzione e secondo perché l’Italia sotto un nubifragio ci sta da tempo. Basti vedere la Borsa di Milano, il problema delle banche, la crescita microscopica, gli esodati, la disoccupazione, l’esasperazione fiscale, la rabbia per l’immigrazione incontrollata e la questione morale, per capire che più diluvio di così si muore.

Dunque se proprio volessimo parlare di diluvio, dovremmo dire che da Mario Monti in giù la pioggia sul nostro Paese è stata torrenziale, per questo siamo ridotti al lumicino che viviamo e vediamo. Del resto, se Renzi fosse stato all’altezza in due anni e mezzo di governo se non il sereno splendente, almeno spazi di azzurro nel cielo del Paese ci sarebbero stati. Perché sia chiaro, non è azzurro il ridicolo zero virgola di crescita, non è azzurro quel niente di disoccupazione in meno, non è azzurro il rapporto fra cittadini e fisco, come non è azzurro il disagio sociale.

Quell’infima minuzia di miglioramento che c’è stata, spacciata per svolta epocale, sorpasso alla Germania, decollo orbitale, è stato detto e ridetto, a tutto si deve fuorché ai provvedimenti del Governo. Al contrario, invece, l’Esecutivo Renzi ha speso una quantità di preziosissimi soldi pubblici (ne abbiamo così pochi) che hanno fruttato un rapporto spesa/resa a dir poco impercettibile. Del resto quando si pensa solo a ragioni elettorali anziché strutturali i risultati sono sempre effimeri, una vampata e poi tutto torna come prima, è il caso degli ottanta Euro e del successo del Pd alle Europee del 2014.

Insomma, che Renzi abbia fallito la sua missione è chiaro e dopo la sconfitta al referendum lo sarà di più e definitivamente. Dunque per il dopo-Renzi si affacciano due ipotesi di scuola, una tutta politica e di natura squisitamente interna, una tecnica e di respiro internazionale. La prima gira intorno al ministro Dario Franceschini, che sarebbe pronto a rilevare le macerie del referendum renziano per mettere in piedi una sorta di maggioranza della nazione in grado di rifare la legge elettorale e portare il Paese alle elezioni del 2018 in chiave antigrillina.

La seconda più ambiziosa, ma anche più complicata, è quella di chiamare Mario Draghi, il cui mandato scade a primavera prossima, per mettere in piedi un Governo di altissimo profilo, in grado di rassicurare l’Europa, i mercati internazionali e stabilizzare i conti del Paese. Draghi dall’alto della sua grande credibilità potrebbe, infatti, nel tratto di legislatura mancante, procedere alla concretizzazione di quel paio di riforme di politica economica indispensabili.

Insomma, in questi giorni di tutto si ragiona tranne che del diluvio dopo Renzi. Del resto a dirla tutta, in giro per l’Italia l’ipotesi che Renzi vada a casa è vista come una liberazione e come un sospiro di sollievo, per questo anche nelle stanze che contano i ragionamenti sono centrati sul dopo. Sia chiaro, non tutto però potrà essere conseguente, anche perché Renzi è un tipo che non molla facilmente, dunque ne tenterà una più del diavolo e in Italia ne abbiamo viste di cotte e di crude, ma che la sua stella sia cadente, almeno per ora, è strasicuro. Staremo a vedere e intanto prepariamoci a mesi difficili, perché di sicuro fino al referendum di ottobre l’Italia diventerà un caleidoscopio di colpi di scena, come forse mai prima d’ora s’era visto.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:10