Oramai è chiaro. Il partito del “No” al referendum di ottobre è il Partito della Costituzione. Non perché professi l’intangibilità e la immodificabilità (in meglio) della Costituzione, ma perché, intanto, afferma e sostiene che la Costituzione non si modifica secondo esigenze di una determinata contingenza politica, ma è fatta, invece, perché siano le contingenze politiche ad essere incanalate e risolte nell’alveo e secondo le regole fatte per durare. E, poi, il partito del No è il partito della Costituzione perché rifiuta l’uso strumentale del voto che dovrà sancire o respingere una Costituzione diversa per gli interessi e con attribuzione di conseguenze che, arbitrariamente, poteri più o men equivoci ad esso vogliono attribuire.
La cosiddetta “personalizzazione” del referendum voluto da Matteo Renzi, che poi quando ha cominciato a fare i conti bugiardamente ha cercato di attribuire ai suoi avversari, è una forma di dileggio della portata del procedimento di emendamento della Carta costituzionale, perché la subordina e la falsifica in funzione di un diverso fine. Si pretende, insomma, di realizzare con il referendum un atto diverso, che Renzi, nel suo originario disegno (manifestato, tra l’altro, mandando i suoi deputati e senatori a firmare la richiesta di referendum in Cassazione!) voleva fosse un plebiscito sul suo Governo e sulla sua persona. Questo, nel diritto amministrativo è il tipico sviamento di potere.
Finalità meno tronfie, ma ugualmente fuorvianti e meschine (meschine in sé ed a cospetto della solennità della decisione sulle norme costituzionali) sono venute fuori da parte dei “concorrenti esterni” del renzismo e, soprattutto, da parte di quelli del viscido partito del “Ni”, che è il partito del mercanteggiamento (o della speranza del mercanteggiamento) del voto al referendum con vantaggi politici (a cominciare da ipotesi di scambio con la legge elettorale, che merita una censura diversa e separata) ed anche di bassa cucina di sottogoverno. Questo mercato della Costituzione e della sua modifica si concreta anche negli intrallazzi per impossibili (e assurdi) “spacchettamenti”, per il rinvio della data, magari col ridicolo pretesto della Brexit, con le beghe di correnti del Pd (ricordiamoci le viscide dichiarazioni di Pier Luigi Bersani).
A cercar di mercanteggiare il voto al referendum (che significa mercanteggiare la Costituzione) ci sono poi i cosiddetti “poteri forti”, soliti a mercanteggiare tutto. Confindustria ha fatto sapere di aver messo a punto uno “studio” (?!) secondo cui la vittoria del “No” comporterebbe una perdita di quattro punti del Pil annuo. Non sono esperto delle segrete cose di Confindustria, ma credo che si possa anche ad essa applicare la valutazione di Sciascia: “La Sicilia come metafora”. Mi basta quindi di pensare al rapporto, dei mafio-antimafiosi di Sicindustria col governo regionale di Crocetta, per avere un’idea del rapporto tra Confindustria e renzismo. E capire quale “perdita” rappresenterebbe per siffatti imprenditori: non la mancata modifica di norme costituzionali, ma una sconfitta di Renzi. Personaggi squallidi (di cui mi andrebbe di fare i nomi), consumati a tutti i rivoltamenti di gabbana e campioni di disparati ed opposti parassitismi, ripetono giaculatorie sulla “governabilità”, che nel loro linguaggio ancor più chiaramente significa il protrarsi ancora per qualche mese o al più per uno o due anni dei loro servizi a Renzi.
C’è poi una categoria abbastanza ampia: quelli che considerano la Costituzione un passatempo: che dovrebbe soddisfare la loro esigenza di vincere la noia. Quindi, dovrebbe “cambiare”, purchessia, non necessariamente in meglio. Cambiare perché, sennò, si annoiano. Dovrei aggiungere qualcosa sui cosiddetti radicali tardo-post- pannelliani e sulla loro ottusa insistenza per lo “spacchettamento”, portata avanti un po’ “pe’ tigna”, un po’ per millantare di esistere. “Con il No non cambia niente!”, è questo il distillato della loro intelligenza. Che meritino di essere assolti per difetto di capacità di intendere è discutibile. Che siano pericolosi ed insopportabili non lo è affatto. Il partito del “Sì”, dal suo capo ai suoi satelliti e parassiti è il partito che subordina le questioni più delicate della Costituzione e la Costituzione stessa alle “esigenze”, variamente concepite, del vivere alla giornata.
Il “No” al referendum è il no a tutto questo. A farne il Partito della Costituzione si può dire che sono sufficienti gli altri, la controparte, che ogni giorno, con i mezzi mediatici imponenti che già questa prima fase della sua conquista del sistema mette nelle sue mani, ci martella con argomenti che sono essi stessi la manifestazione più sfacciata, la prova indiscutibile del mercanteggiamento per la quotidianità del potere con ogni essenziale concetto e regola, della Costituzione.
Abbiamo, dunque questa grave ed esaltante responsabilità: essere noi del No il partito “costituzionalista”. Non evocherò l’episodio evangelico della cacciata dei mercanti dal Tempio. Ma mercanti e cialtroni non possono imporci per l’avvenire, come regole che non sono tali, l’immondizia del loro vivere alla giornata gabellato per “Riforma della Costituzione”. Questo proprio no.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:56