Giacobini spocchiosi

Erano sicuramente in molti ad attendere il confronto Raggi - Giacchetti per decidere come votare. Alla fine della diretta è probabile che i delusi siano stati molti. Giacchetti è apparso impacciato e sulla difensiva, affidandosi alla mozione degli affetti nel suo appello finale. Raggi ha dato il meglio, sfoggiando una sicurezza che piano piano è diventata sicumera ed una convinzione immediatamente scaduta nel giacobinismo. Gli incerti di fronte a questo confronto tra complesso di colpa e tracotanza sono stati illuminati dall’exploit di Alessandro Di Battista nel corso di una trasmissione sulla 7 il 16 giugno scorso.

Non è stata solo l’abbronzatura alla De Sica/Boldi a tradire Di Battista ma i suoi sorrisi beffardi a Massimo Franco ed Ilvo Diamanti che cercavano di capire qualcosa nel profluvio di frasi fatte e slogan qualunquisti dell’ospite d’onore. Impresa ardua. Gli spettatori hanno avuto comunque un saggio di cosa li aspetta come cittadini laddove prevarranno. I Cinque stelle sono una compagine di Uomini Erasmo.

Si sentono tutti (nessuno escluso) animali ideologici, predestinati a orientare lo Stato perché depositari di verità e giustizia della minoranza ancora non governante. Dentro di loro non avvertono alcuna esigenza di legittimazione ma la inseguono per poter affermare di accettarla per mero spirito di servizio. Ma se non la ottengono accusano la società di insipienza o peggio connivenza oppure di fastidio per soluzioni troppo nobili per essere accettate. In ogni caso rimangono convinti della loro futura vittoria vista la pochezza e la sporcizia delle idee che ci sono in giro.

In realtà i Cinque Stelle bramano il potere al punto da mutarsi in simulatori di virtù per cui ricorrono a forme gergali eccitanti che se approfondite risultano devianti. Ma non se ne curano perché pensano di sapere perfettamente “quanto è grande il grande” (o giusto il giusto) nonostante una icona moderna come Deirdre McCloskey abbia dimostrato che il “grande” è più piccolo del “più grande“ e al tempo stesso più grande del “meno grande”. In una Società che liquefa valori usi e costumi e nella quale i Media abdicano alla imparzialità, sono purtroppo gli uomini come i politici dei Cinque Stelle che rischiano di dare il tono alla Società. Questo perché ancora impera una Classe politica che ha sguazzato nel malaffare nella gestione dello Stato.

Ansiati di visibilità, i Cinque Stelle indulgono nella semplificazione anziché nella riflessione; detestano elaborare soluzione originali; spacciano la partigianeria ed il conformismo al Movimento per pedigree politico e chiamano sintesi degli interessi collettivi gli interessi del Movimento non dei loro elettori. Giacobini spocchiosi, che dichiarano di aborrire la violenza fisica e coltivano quella mediatico/informatica e usano la Rete (la loro Rete) come Comitato di Salute Pubblica per giudicare e eseguire sentenze. I Cinque Stelle sono figli dell’attuale tempo italiano.

La Classe Politica tradisce difetti e virtù della Società e attesta il suo livello di maturità democratica. E’ lo specchio di ogni paese. L’Italia contemporanea, impreparata e insicura, si camuffa attraverso nuovi idoli politici, pensando di nascondere così i suoi vizi. Come fanno uomini e donne con la chirurgia estetica che non si accettano. E non vogliono cambiare. E difatti nessun esponente dei Cinque Stelle, tanto meno quelli assurti a posizioni di vertice politico, hanno dimostrato di essere leader. Quando hanno tentato sono stati rinnegati. I Leader sono uomini coraggiosi non spocchiosi, capaci di ascoltare l’Opinione pubblica senza lasciarsi impressionare. Determinati ad indirizzarla e non a lavorarle incontro. Se serve capaci di dirle NO anche quando sembra spingere per un SI. Soprattutto i Leader non pensano mai di esser infallibili: nemmeno il Sommo Pontefice si pensa più tale se non quando dispone su temi dottrinari. E neppure in quel caso sempre e comunque.

I Cinque Stelle condividono con i leader solo il principio che in Democrazia per governare occorre l’investitura popolare. E solo perché così devono. Ma non amano dire anticipatamente e con chiarezza quello che intendono fare. La Raggi è il loro prototipo. Non vogliono essere costretti a scommettere il proprio destino su nulla. Neppure sul reddito di cittadinanza o sull’immigrazione. Tutto questo aumenta il dubbio che non condividano fino in fondo il principio di coincidenza fra responsabilità e potere. Quello secondo cui dove c’è “il potere di…” si deve accettare la piena “responsabilità di aver...” e che dove c’è “la responsabilità di aver...” si può pretendere ci sia “il potere di...” (e viceversa, circa il “può” e il “deve”). Perché il loro Dna è quello di esser gli Unti del Signore; i depositari dell’Onestà in una società corrotta e irrecuperabile.

Giacobini spocchiosi. E allora ben vengano dunque a gestire Roma e Torino. Siamo tutti pronti a fare nostro il principio francese (non rivoluzionario) che afferma: “On change d’avis comme on change la chemise!”.

Aggiornato il 29 ottobre 2018 alle ore 09:23