
È stato uno dei più grandi giornalisti d’inchiesta dell’ultimo mezzo secolo. Franco Giustolisi, inviato de “l’Espresso”, aveva un duplice legame nel suo modo di fare cronaca: la memoria e l’indagine. Fu lui a fare scovare “l’armadio della vergogna” presso una sede distaccata della procura generale militare di Roma. Si tratta di un armadio che conteneva quasi duemila e trecento fascicoli relativi alle stragi naziste in Italia dopo l’8 settembre 1943. E il rinvenimento contribuì non poco a fare processare criminali di guerra come Erich Priebke e altri ancora. Giustolisi scrisse anche un libro con il materiale che proveniva da quel clamoroso rinvenimento.
Roba per palati fini con quel che passa il convento oggi, in tempi di disoccupazione cronica e di giornali fatti con il copia e incolla da Internet. Per fortuna che qualcuno, come la figlia Livia, giornalista in Rai, e il suo entourage di vecchi colleghi, da Roberto Martinelli a Bruno Manfellotto passando per Pierluigi Franz, tutte firme d’eccellenza del vecchio “Corriere” o de “l’Espresso” dei bei tempi che furono, e di giovani e valide giornaliste come Virginia Piccolillo, sempre della scuola di via Solferino, ha pensato di mettere insieme tanto l’archivio della memoria e la fondazione dedicata a Franco Giustolisi quanto il premio omonimo che ogni anno finanzia come può quei colleghi che si sono distinti in inchieste con la “I” maiuscola.
Le carte di Franco Giustolisi sono adesso custodite in un archivio (presto sarà disponibile on-line) gestito da una fondazione di cui è stato nominato presidente proprio Roberto Martinelli. Che insieme agli altri nomi su menzionati qualche giorno fa ha presentato l’iniziativa e il relativo Premio Giustolisi per il giornalismo d’inchiesta nell’Aula Nassirya al Senato al cospetto del presidente Pietro Grasso. Proprio Martinelli, nel suo discorso tutt’altro che di cerimonia, ha spiegato come e perché da due anni si rifiuti di scrivere anche un solo rigo sul “Corriere”, vista la generale bassa qualità del prodotto giornalistico in edicola. Come a dire: io non mischio la mia firma con quella di chi copia tutto dal web o da altri colleghi senza neppure citare le fonti.
Il Premio Giustolisi è di fatto “itinerante” lungo tutti i paesi italiani che furono tragico teatro di stragi naziste poi insabbiate nell’“armadio della vergogna”: quest’anno verrà consegnato a Marzabotto, l’anno scorso era toccato a Sant’Anna di Stazzema. Sempre il 10 novembre, che è la data in cui il grande Giustolisi ci ha lasciato nel 2014.
Per la cronaca l’armadio della vergogna fu materialmente rinvenuto nel 1994 dal procuratore generale militare dell’epoca, Antonino Intelisano, lo stesso del processo Priebke, nella sede distaccata di Palazzo Cesi-Gaddi. Il mobile aveva le ante “pudicamente” rivolte verso il muro in una specie di sotterraneo. Come se si vergognasse del contenuto che occultava. Il Consiglio superiore della magistratura militare con una relazione finale nel 1999 e poi la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, nel 2001, ravvisarono nella gestione dei fascicoli dei veri e propri depistaggi. Spiegati con presumibili pressioni della politica italiana del dopoguerra per impedire l'azione giudiziaria contro i responsabili tedeschi. Il tutto “per motivi di opportunità politica, in un certo senso una superiore ragione di Stato”. Una cosa su cui lo scomparso Marco Pannella avrebbe avuto molto da dire a proposito della (lunga) transizione da lui auspicata “dalla ragion di Stato allo Stato di diritto”.
Nel frattempo, nell’immediato dopoguerra, il nemico era ormai l’Urss di Stalin e poi di Krusciov e di Breznev, e gli ex gerarchi nazisti ancora risiedenti nella Germania Ovest vennero “graziati” in nome dello schieramento tedesco nel Patto Atlantico. Su quei fascicoli, con la legge 107 del 2003 d'iniziativa parlamentare del deputato Carlo Carli, fu anche istituita l’immancabile commissione parlamentare d'inchiesta. Denominata “sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazisti”. Fu presieduta da Flavio Tanzilli, all'epoca esponente dell'Udc. E operò dall'ottobre del 2003 fino alla primavera del 2006, raccogliendo 80mila documenti e interrogando più di trenta persone tra militari, giornalisti e politici. Tutte le risultanze top secret, tra cui il dossier britannico intitolato “Atrocities in Italy”, vennero desecretate dall’attuale presidente della Camera, Laura Boldrini, lo scorso febbraio.
Adesso l’archivio della memoria intitolato a Giustolisi diverrà il custode digitale di una memoria che in troppi vorrebbero rimuovere. E questo grazie all’opera instancabile della figlia Livia e dei suoi ex colleghi. E contemporaneamente il premio giornalistico istituito nel 2014, che porta il suo nome, servirà a finanziare e ad incoraggiare un tipo di giornalismo, di memoria e di inchiesta, che oggi non si fa più. Un po’ per colpa delle scorciatoie scelte dagli stessi giornalisti per fare carriera. Scorciatoie che non prevedono di passare attraverso la pubblicazione di notizie scomode. Un po’ per la taccagneria degli editori, piccoli, medi o grandi che siano, che hanno approfittato della crisi per distruggere quel poco che era rimasto in piedi di buono nei giornali italiani illudendosi di fare le nozze coi fichi secchi. E l’attuale crisi finanziaria persino dell’Istituto di previdenza dei giornalisti intitolato a Giovanni Amendola è il risultato di questa duplice, geometrica impotenza.
@buffadimitri
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:58