Referendum seri e referendum abusivi

Mettiamo da parte, per un momento, i temi gravi ed immediati che incombono nella vita del nostro Paese per parlare di una cosa che, pure, sarà oggetto del dibattito per il ballottaggio a Roma e che, proprio per questo, ritengo in sé pochissimo interessante, dato che, come ho spiegato, ora e qui per me l’importante è “votare contro” il Partito Democratico, Matteo Renzi ed il suo “Partito della Nazione”.

Ne parlo, però, perché c’è una questione di metodo, perché vale la pena discuterne sulla opportunità di parlarne e come parlarne e, soprattutto, sul modo di decidere su di essa. È scappata fuori la questione delle Olimpiadi e della candidatura di Roma ad esserne sede per quelle del 2024.

Bene, si dirà, ecco un problema concreto. Concreto un cavolo. E la proposta di far decidere “dai romani” con referendum popolare se sostenere o no la candidatura della Città è ancor più chiaramente una tesi del cavolo, anzi, del cavolissimo. “Superare” la democrazia rappresentativa con il ricorso alla democrazia diretta è in sé una cavolata, tanto per mantenere il discorso ad un buon livello anche lessicale.

Il referendum, l’esercizio della “democrazia diretta”, è istituto che va usato avendo ben chiara la sua natura, i suoi limiti, le sue possibili distorsioni. Ed avendo rispetto e coscienza della assoluta necessità di valersene per decidere su questioni di principio, quelle sulle quali ogni cittadino ha qualcosa da dire, perché la comunità ha da tener conto anche dei sentimenti, perché si tratta di realizzare quei diritti fondamentali, non per nulla detti “civili”, che tutti ed ognuno i cittadini hanno e debbono veder realizzati e rispettati.

Vi sono funzioni essenziali nella vita pubblica, che, pur toccando gli interessi di tutti, non possono essere decisi da una conta tra gli elettori. Pensate ai grandi progetti di opere pubbliche, all’approvazione di bilanci, a grandi operazioni finanziarie. Estendere l’uso del referendum a certe questioni, più che improvvido è falsificante. E se c’è qualcosa che contrasta con la democrazia è la falsificazione della democrazia. Che a decidere se a Roma s’abbiano da fare le Olimpiadi siano “i romani” è quindi una solenne sciocchezza. Dovremmo mettere a confronto il voto delle tifoserie “daa Roma” e “daa Lazio”, quelle delle suore e dei preti, quelle delle clientele dei bar, delle casalinghe alle prese con i problemi del mercato, ecc..

Le Olimpiadi importano la soluzione di problemi tecnici di altissimo e complicatissimo livello, problemi urbanistici, viari, finanziari e lo scontro di interessi e non solo di passioni sportive. Io ritengo che il degrado di Roma non si “cura” puntando sulle opere finalizzate essenzialmente al successo dell’evento. Il rischio di un totale fallimento, di una catastrofe epocale del prestigio e non solo del prestigio della Città è reale. Ma non oserei mai affermare che il mio parere vale quanto quello di un tecnico, di uno specialista. Onesto, naturalmente, ma, forse, nemmeno il parere di uno disonesto.

Se non abbiamo una schiera adeguata di tecnici che di una città allo sbando, sappiano in un tempo certo, farne una adeguata ad un evento così impegnativo, credo sia meglio archiviare la proposta. “Dare la parola al popolo” è una forma di cretinismo demagogico e null’altro. Lo ripeto: questo non è un intervento neppure indiretto nel dibattito (si fa per dire) per il ballottaggio. Il mio intervento è quello che ho cercato di chiarire e motivare l’altro giorno. È “diretto” e riguarda, in fondo, altro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:55