
Caro Presidente Mattarella,
al contrario di tanti altri che, in questi giorni, si impegnano ad analizzare e commentare gli esiti delle votazioni amministrative, noi preferiamo scriverle. Lo facciamo nel modo più consueto, quello cioè della lettera aperta sulle colonne del nostro giornale, affinché questo rispettoso appello possa avere una partecipazione più ampia possibile.
Appelli simili, lei, signor presidente ce lo insegna, si fanno solo per motivi di straordinaria importanza e la difesa della nostra Costituzione è certamente uno di questi. Sappiamo perfettamente che in genere, inviti come il nostro, nella maggior parte dei casi, ottengono risposte garbate, eleganti, ma piuttosto di rito, dunque partiamo sconfitti, ma partiamo lo stesso. Del resto se nella storia dell’uomo il pensiero della sconfitta avesse prevalso sulla personale convinzione, il mondo con tutta probabilità sarebbe rimasto in una desolata landa di poveri sottomessi. Al contrario e fortunatamente, la paura di perdere non è riuscita sempre ad avere la meglio e non ha fermato il desiderio di battersi nella speranza di un mondo migliore. La Festa della Repubblica appena trascorsa ne rappresenta la più luminosa testimonianza, se, infatti, negli anni più terribili del nazifascismo, il primato del coraggio di un’enormità di italiani fosse venuto meno, le pagine dell’Italia ben altra silloge avrebbero avuto.
Signore presidente, lei dal più alto gradino della Magistratura della Repubblica è il garante della Costituzione, il garante di una Carta che, dopo la tragedia della guerra, ebbe il suo fondamentale incipit proprio dal referendum del 2 giugno 1946, fra monarchia e repubblica. Fu da lì, dalla vittoria della Repubblica, che si iniziò per il nostro Paese quello straordinario percorso che attraverso l’impegno nobile di una Assemblea Costituente, condusse alla stesura della Carta da lei tanto autorevolmente custodita.
Sappiamo bene che tutte le leggi, anche quelle fondamentali, perfette non possono essere, sappiamo però altrettanto bene che quella nostra, assieme alle tante essenziali attenzioni, ne aveva posta una particolare sul sistema dei “pesi e dei contrappesi”. Del resto Signor Presidente, lei da fine giurista, su questo tema meglio di chiunque altro potrebbe farci mille lezioni, la democrazia vive e si esplica nella sua interezza proprio grazie ai pesi e contrappesi. Noi non vogliamo entrare nel merito della riforma che, tutti insieme, saremo chiamati a votare con il referendum di ottobre, ma certo il tema del “check and balance” è prioritario ed anche questo Lei ce lo insegna. Non vogliamo entrarci perché riteniamo giusto e doveroso che tutti gli italiani abbiano modo di ascoltare e approfondire in egual misura le ragioni a favore e quelle contro la modifica proposta della Costituzione.
Oltretutto il cambiamento, sul quale saremo chiamati a decidere, converrà, signor presidente, è molto, ma molto di più che una semplice modifica realizzata grazie all’articolo 138. Perché signor presidente, nonostante tutto, noi restiamo convinti che i Padri Costituenti inserirono quell’articolo nella Carta, per consentire aggiustamenti e non stravolgimenti. Nessuno, infatti, può toglierci dalla testa che gli estensori della legge fondamentale che ci ha guidati sino ad ora, per cambiare così tanto il volto della Repubblica, senza il minimo dubbio , avrebbero pensato a una assemblea costituente e mai ad una serie di forzature parlamentari della maggioranza.
Ciò detto e preso atto di come siano andate comunque le cose, noi, signor presidente, vorremmo chiederle alcune rassicurazioni. Del resto concorderà, che una proposta di cambiamento così grande, da ridisegnare quasi interamente il volto della Repubblica, merita doverosamente altrettanto grande approfondimento, in un senso e nell’altro. Dunque, partendo da tale presupposto, ogni tentativo di forzare l’utilizzo di strumenti per favorire l’uno o l’altro dei fronti contrapposti, va stroncato anche al di là del minimo ragionevole dubbio.
Nel 1946 la tivù non esisteva, ma oggi sì e non è poco... Oggi in Italia, la più grande macchina dell’informazione televisiva, la Rai, è pubblica e pagata dai cittadini. È una macchina gigantesca in grado, per quantità e qualità, di arrivare ovunque e di arrivarci con messaggi di ogni tipo e in ogni occasione. Inutile ovviamente, spiegare a lei, signor presidente, quanto per questo sia di vitale importanza garantire ai cittadini che, specialmente in vista del referendum di ottobre, la Rai sia una casa di cristallo, nell’equilibrio delle ragioni referendarie. Le rivolgiamo questa preghiera, signor presidente, perché se il buongiorno si vede dal mattino, fino ad ora il nostro non è stato magnifico e la Rai non è apparsa per niente in linea con quegli equilibri essenziali di par condicio. Non ci riferiamo solamente alle discutibili performance di Roberto Benigni, ma a una serie di spazi che, in assenza del regolamento sulla campagna referendaria, appaiono sbilanciati a favore del sì.
Occorre quindi che la Commissione parlamentare di Vigilanza dia subito corso alla stesura e all’ attivazione delle disposizioni regolamentari al riguardo ed in questo senso una Sua autorevole sollecitazione sarebbe indispensabile. Del resto anche per la tivù pubblica, finanziata dal Canone, il principio “no taxation without representation” dovrebbe essere ineludibile a garanzia del pluralismo e del bilanciamento. Lei presidente è l’unico in grado di rimettere ogni cosa nel giusto binario, non solo per le sue doti di onestà personale, non solo per la sua grande cultura ed esperienza politica, non solo per la sua ben nota imparzialità, ma soprattutto perché la custodia dei diritti costituzionali è affidata alle sue mani, a garanzia di tutti, oggi più che mai. Per questo signor presidente ci appelliamo alla sua prestigiosa ed autorevole vigilanza, affinché sul referendum, l’informazione non abbia la minima ombra di imparzialità ed equilibrio, come è giusto che sia. Con i sensi della nostra particolare stima e con il rispetto più grande, la ringraziamo di cuore.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:03