Renzi gioca da solo e non vince

All’indomani di ogni prova elettorale c’è la solita passerella dei “vincitori”, che tali si proclamano un po’ tutti: quelli che hanno vinto e quelli che sostengono di non aver perso. Quando poi c’è in vista un ballottaggio questo affannarsi a proclamarsi tutti vincitori è ancor più forte. Anche questa volta sta andando così.

Dico subito che questa limitata prova elettorale comunale ha avuto una importanza che va al di là della estensione del voto e della importanza delle città (le principali) in cui si è svolta. Avrebbe potuto essere ancor più importante e gravida di significati negativi, una vera “svolta” nella vita della Repubblica, perché è stata la prima tornata elettorale che si presentava senza alternative e senza scelte: un’autentica parodia delle elezioni, una prova di “monopartitismo imperfetto”, come tale destinato a divenire regime monocratico, prova che avrebbe, secondo ragionevoli e non illusorie previsioni, potuto confermare il successo di una così disgraziata involuzione delle libere istituzioni del nostro Paese.

Parliamo chiaro: Matteo Renzi giocava da solo. L’autolesionismo della destra e di quello che di essa rimane aveva completato l’opera del Partito dei Magistrati iniziata nel secondo scorso. Il “cupio dissolvi” di ogni altra forza politica (si fa per dire) alla ricerca di miserabili vantaggi particolari sembrava voler completare ad ogni costo il progetto del Partito della Nazione, “polivalente” ed ambiguo. La “negatività” e l’inconcludenza del Movimento Cinque Stelle aveva fatto sì che rimanesse delusa ogni speranza di una sua evoluzione che lo portasse fuori dal ruolo di zavorra del Partito della Nazione e di claque fanatica del Partito dei Magistrati. Più che una partita, si prospettava per Renzi un solitario. Giocava da solo. Non ha vinto. In qualche caso, grazie ad un più marcato e stolto autolesionismo degli altri, ha evitato il peggio.

Ma la consacrazione del Partito della Nazione non c’è stata. Non siamo ancora alle cosiddette elezioni con lista unica del Partito fascista, quelle nelle quali si votava Sì o No (ma spesso il Sì era già scritto sulla scheda consegnata agli elettori). Sciascia racconta l’episodio accaduto a Racalmuto, dove un ex “Guardia Regia” (corpo di polizia sciolto da Mussolini) vistosi consegnare al seggio una scheda in cui già era “votato” il Sì, anziché umettare con la saliva la chiusura gommata che allora completava la scheda, la restituì al presidente di seggio con le parole storiche “ce sputasse vossia”. Non siamo arrivati a dover andare nei seggi per dire “ce sputasse vossia”.

Ma questo si vorrebbe imporci. Renzi però ha perso un colpo, anzi, già forse più d’uno. Alla partita di ottobre che non ha bisogno di “avversari”, se non tra gli stessi elettori, in cui l’autolesionismo non potrà far danni immediati, anziché solo non vincere, Renzi potrà, dovrà perdere. E sulla chiarezza della vittoria del No, sul superamento dell’equivoco e del ruolo ambiguo del Partito della Nazione, potremo cominciare a costruire una nuova Repubblica, a difendere e rafforzare le libere istituzioni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:53