Vittorio Feltri  visto da un feltriano

Sul versante carta stampata, negli ultimi giorni, ci sono due notizie, molti chiacchiericci ed altrettante polemiche.

Le due notizie sono quella di Vittorio Feltri che torna alla guida di Libero, quotidiano da lui fondato nel 2000, mentre la seconda è quella di Maurizio Belpietro che ne lascia polemicamente la guida essendo stato licenziato dopo sette anni. Questo avvicendamento, accompagnato da un nugolo di polemiche, sarebbe stato fortemente voluto dall’editore in previsione della imminente fusione tra il quotidiano milanese ed “Il Tempo” di Roma. L’operazione porterà Gian Marco Chiocci ad assumere la carica di direttore del nuovo mega quotidiano, mentre Feltri ne assumerà verosimilmente la direzione editoriale.

Il preambolo, per chi come noi è cresciuto a pane e Vittorio Feltri, serve a raccogliere un minimo di coraggio per riferire ai lettori quelle che sarebbero le vere motivazioni della rivoluzione in atto: parrebbe che Denis Verdini non gradisse molto le inchieste di Belpietro sulle banche toscane, la critica feroce a Renzi ma soprattutto il posizionamento del giornale a favore del no al referendum costituzionale, il cui esito negativo rischierebbe di mandare a casa il blocco “verdinianrenziano”.

Tonino Angelucci, editore di Libero e molto vicino all’ex macellaio toscano, avrebbe quindi defenestrato Belpietro per accontentare il suo amico Denis. Quest’ultimo si starebbe muovendo molto ultimamente – insieme a statisti del calibro di Alfano che guida un partito organico alla coalizione di sinistra pur chiamandosi “Nuovo Centrodestra” – convinto com’è di poter lucrare sull’antica legge della politica in base alla quale un transfuga vale doppio, perché porta un voto alla parte avversa ed in più lo sottrae alla coalizione di partenza. Tale tentativo di guadagnarsi una rendita di posizione, mettendosi a cavallo tra le due coalizioni e moltiplicando i voltagabbana, parrebbe naturalmente applicabile anche all’informazione.

Ragion per cui l’ambizione sembrerebbe essere quella di rendere renziano tutto ciò che, scritto su carta e vergato con inchiostro, ad oggi dice cose di centrodestra. Il tutto favorendo ricambi al vertice dei quotidiani e consigliando benevolmente dolci virate della linea editoriale su questioni cruciali, come ad esempio quella del referendum costituzionale. Il film che si vuole proiettare è il solito, scontato pappone con protagonisti un centrodestra che porta le ciabatte a Verdini, che sculetta come la Monroe nella scena della famosissima canzoncina cantata a Kennedy e che liquida Berlusconi come un vecchio beota ormai bollito, vittima di badanti e consiglieri cretini e che per giunta sbaglia a non votare una riforma costituzionale appoggiata entusiasticamente in Parlamento e poi ripudiata.

Intendiamoci, su queste pagine abbiamo criticato duramente Berlusconi e continueremo a farlo ogni qual volta darà credito ad una classe dirigente inadeguata, svenderà l’identità del centrodestra in nome di patti della crostata o del Nazareno, collaborerà nella redazione di riforme brutte oppure non si impegnerà a preparare le basi per costituire un’alleanza unita, vincente ed in grado di far sognare gli elettori che non si riconoscono nella sinistra. Che Berlusconi sia sul viale del tramonto e che abbia fatto molti errori - il primo dei quali è stato quello di non favorire la crescita di nuovi leader - crediamo ne sia consapevole anche il diretto interessato. Ciò però non autorizza nessuno a prendere baracca e burattini per traslocare osannante e convertito alla volta del campo avversario, sputando nel piatto dove ha mangiato per anni. Questo vale anche per Vittorio Feltri il quale, per la verità, ha precisato che “dire che voterò sì al referendum, non significa essere renziani. E comunque meglio renziano che figlio di puttana”.

Il “sciur diretur” ultimamente spara a palle incatenate su Berlusconi mostrandosi al contrario benevolo verso Renzi e le sue riforme, boicottate dall’incoerente Silvio Berlusconi il quale, con una giravolta, si è schierato per il no al referendum. Di per sé la cosa non sarebbe così pregiudizievole se non fosse che, nel primo editoriale con cui festeggia il suo ritorno alla direzione di Libero, Feltri promette di dire “pane al pane, vino al vino”, con un “linguaggio colloquiale, più ironico che acido” e aggiungendo che senza pregiudizi “prenderemo di mira chi sbaglia e incoraggeremo chi sbaglia meno degli altri, posto che l’errore è il denominatore comune dell’umanità”.

La cosa, messa a sistema con l’opinione legata al referendum, somiglia tanto ad un endorsement in favore di Renzi ma – e della cosa siamo certi – non gli procurerà certo grandi fortune. Feltri si è guadagnato la stima dei suoi lettori perché giornalista controcorrente, ruvido, polemico, schietto, fazioso ma per convinzione e non certo perché imbeccato dal padrone di turno. Iscriversi adesso al partito di Giuliano Ferrara e Denis Verdini, ossia alla corrente di pensiero degli antisinistra convertiti al renzismo, è come superare un limite invalicabile per senso della decenza e del pudore. La cosa dispiace dannatamente a chi gli ha creduto, a chi gli è affezionato ma purtroppo riduce una carriera eccezionale a quella di un Emilio Fede qualsiasi, facendola assomigliare drammaticamente a quel tramonto che egli stesso attribuisce ad un Berlusconi in preda all’incoerenza ed alla schizofrenia costituzionale. Berlusconi sulle riforme un errore lo ha fatto quando, consigliato dai soliti maestri dell’inciucio, ha pensato bene di agevolarne l’iter parlamentare nella speranza di ritrovare rilevanza politica. Compresa la posizione di subalternità nella quale si era cacciato, ha cambiato rotta cercando di non accostare il proprio nome ad una riforma strampalata ed inutile che lo riduceva a paggetto di Renzi. Contrariamente a quanto vogliono farci credere, non si tratta della riforma del secolo e nemmeno dell’ultima spiaggia sfumata la quale nessuna modifica costituzionale sarà più realizzabile. Se a ciò si aggiunge la volontà del Premier di legare il proprio destino di Governo al successo referendario, non si vede proprio dove sia l’errore politico di Berlusconi se prova a defenestrare un Esecutivo sgradito oltre che abusivo.

Peccato che qualche anno orsono, lo stesso Feltri avesse sul tema una diversa opinione allorché, raccontando le vicende legate alla bicamerale del 1997 nel suo libro “il Vittoriale”, si vantò di averla fatta saltare ad un passo dalla finalizzazione dell’accordo: “Vanno in televisione, Berlusconi e D’Alema, a celebrare l’accordo da Bruno Vespa, parlano, spiegano, sorridono. Alle 11 e mezzo di sera bussa il maggiordomo di Porta a Porta ed entra in studio con due copie del Giornale fresche di stampa. Il titolo era: ‘Inciucio in diretta’. D’Alema disperato, Berlusconi pure, ma sempre sorridente. Vespa si aspettava che io venissi impalato seduta stante. E invece niente, non successe assolutamente niente. (...) Da allora (Berlusconi, ndr) non mi ha mai rinfacciato un cazzo, capisci? Però la gente non ci crede”.

Quello era un inciucio da far saltare mentre oggi le riforme della sinistra andrebbero votate per senso dello Stato e per coerenza? Con il dovuto rispetto ed anche con un certo affetto, signor direttore, di quale coerenza parliamo?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:00