
Del primo ne avrebbe fatto sicuramente a meno. Il secondo lo ha promosso e voluto egli stesso. Fatto sta che il terzo anno solare da Presidente del Consiglio dei ministri per Matteo Renzi sta diventando sempre di più una sfida a non perdere i Referendum.
Il primo, quello di aprile scorso sulle estrazioni di petrolio e gas in mare aperto, gli è piombato addosso per l’iniziativa autonoma di una decina di Regioni contro le decisioni del Governo nazionale nonostante alcune di esse fossero targate Pd. Alla fine però, ha superato il primo scoglio abbastanza agilmente; il quorum non è stato nemmeno avvicinato tranne che in una Regione: la Basilicata dei giacimenti più grandi dell’Europa continentale e delle inchieste su Tempa Rossa e Viggiano.
Il secondo, quello del prossimo autunno sulla Riforma costituzionale, sembra non volerlo subire per niente. Anzi. Renzi partendo con un'accelerazione tipicamente riformatrice ne ha costruito una sorta di richiesta plebiscitaria sulla propria leadership. Così facendo però rischia di dividere a meta il campo politico e il suo stesso partito oramai sempre più dilaniato nei territori.
Un rischio calcolato evidentemente perché Renzi non è certo uno sprovveduto. Avrà fatto i suoi conti tanto più che nelle ultime uscite ha alzato il tiro minacciando, in caso di sconfitta al Referendum costituzionale, non solo di chiudere anticipatamente l’avventura del suo Governo ma addirittura di ritirarsi a vita privata e lasciare la politica attiva. E se pure più di qualcuno nutre dubbi in proposito rimane che parole come quelle di “eventualmente dimettermi” sono macigni che resterebbero in ogni caso nel dna del suo futuro percorso politico.
Non solo. Renzi si prepara a una lunga estate di propaganda tra mare e città per spingere con tutta la propria squadra di fedelissimi Pd e di alleati governativi verso il superamento del 50 per cento di sì. Si parla della prossima apertura di 10mila comitati per il Sì: mediamente più di uno per comune. Uno sforzo enorme. Ma non subito. Prima per Renzi c’è un antipasto di quello che sarà con la sfida delle amministrative del 5 giugno. Chiaro che la portata politica sarà diversa. Le comunali sono le meno politiche di tutti gli appuntamenti elettorali. Lo ripete continuamente il suo capogruppo alla Camera. Si vota però, a partire da Roma, per il rinnovo delle amministrazioni municipali di centri importanti. Oltre che nella capitale saranno chiamati alle urne i cittadini di sei capoluoghi di regione: Bologna, Cagliari, Milano, Napoli, Torino e Trieste. In molti casi il Pd rischia tanto e per questo Renzi preferisce giocarsi tutto sul Referendum con una personalizzazione della sfida.
Resta che se il Pd dovesse non fare buon bottino a giugno la tensione nel partito salirebbe a livelli altissimi. Con uno scenario poco prevedibile tanto più che in ballo c’è anche la corsa congressuale per fine anno come “concesso” dallo stesso premier. Insomma da un lato Renzi incassa alcuni provvedimenti epocali in Parlamento (su tutto le Unioni civili) ma dall’altro non basta perché le partite ormai si giocheranno altrove e certo non alla Camera o al Senato.
Intanto la tensione è già altissima in casa dem. La minoranza affila le armi. All’annuncio di un paio di domeniche del premier di voler anticipare i tempi del congresso subito dopo l’appuntamento referendario il primo a scendere in campo è strato l’ex Capogruppo della Camera, Roberto Speranza. Lo ha fatto dichiarandosi pronto a voler interpretare l’alternativa a Renzi segretario e lanciando idee di sinistra. E la campagna social è già partita: su Facebook è già nata una sorta di piattaforma programmatica “Pd, segreteria 2016” che fa capo ai fedelissimi di Speranza soprattutto lucani. Ovviamente è tutto in divenire. Tanto più che la leadership interna dell’ex rottamatore non sembra essere a rischio in ogni caso. In realtà il vantaggio di Renzi pare essere quello di non avere reali alternative. Nel Pd come nella guida politica italiana. Innanzitutto nel Partito democratico perché mentre l’area renziana è ormai diventata un arcipelago l’area di minoranza rischia di dividersi ulteriormente tra le velleità bersaniane di Speranza, i sempre vivi propositi di revenge di Enrico Letta e il carattere fumantino del governatore pugliese Michele Emiliano. Con una curiosità meridionale: Speranza rischia di pagare dazio anche nella sua Basilicata al più “No Triv” Emiliano dopo gli eccessi referendari sul petrolio degli scorsi mesi. Ma per tutto questo c’è tempo.
Detto quindi, delle comunali dove il Pd rischia seriamente di abdicare un po’ dappertutto a favore del M5S rimane un vuoto sul piano nazionale: chi potrà sfidare Renzi se si andasse al voto anticipato alle politiche? Il centrodestra di Salvini, Meloni e Berlusconi non pare avere le stesse idee quasi su nulla. Per sfidare Renzi seriamente dovranno prima o poi trovare una sintesi credibile da Palermo a Trieste. Mentre ai grillini in crescita continua manca sempre una coalizione. Da soli dovrebbero sperare nella nuova legge elettorale voluta da Renzi con il maxi premio di maggioranza: ma a quel punto significherebbe che prima Renzi avrebbe vinto il plebiscito sul Rerefendum costituzionale dimostrando di avere un voto in più di tutti gli altri.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:57