Il circo mediatico: il caso Conte (e altri)

Basta, per oggi, con la doppia scritta “mediatico giudiziario” a proposito di quel famigerato circo che da quasi mezzo secolo ci affanna e ci danna. Del resto, chi dirige questo giornale ebbe il coraggio - sì, coraggio è la parola giusta - di analizzare e misurare sulla pelle dei dannati proprio quella doppia insegna negli “années horribles” della (falsa) rivoluzione giudiziaria. Il punto è che scriverne e soffrirne venticinque anni dopo, come se nulla fosse cambiato, è la vera dannazione per il nostro sfortunato Paese. E se ci soffermiamo sulle devastazioni personali prima che giuridiche prodotte da quel circo - che altri definiscono “circuito” ma fa lo stesso - limitandoci al primo dei due termini riferiti, appunto, agli operatori del media (cioè a noi che stiamo scrivendo e abbiamo scritto e, speriamo, continueremo a farlo) è grazie alle ultimissime vicende collegate a questo “Circo Barnum” dell’informazione.

L’occasione ce la offre nientepopodimeno che il commissario tecnico della Nazionale di calcio, Antonio Conte, a proposito della sua assoluzione: “Un’assoluzione - ha detto Conte - non fa dimenticare i quattro anni passati, non fa dimenticare una perquisizione a casa alle cinque del mattino, le tivù sotto casa alle sei del mattino già avvisate, tanti titoloni di prima pagina, tante trasmissioni, tanti giustizialisti, tante situazioni che hanno fatto male a me e alla mia famiglia; questo non lo posso dimenticare, sono cose che hanno tracciato un solco e rimarranno indelebili nella mia vita. Sono contento ma non è una vicenda del tutto a lieto fine”.

Cos’è che ci ha più colpiti in questa dolorosa sintesi di un calvario giudiziario? Quale la frase, il punto che ha fatto sgorgare lacrime amare a Conte? Sta in un dettaglio, come sempre, del resto. In quel “le tv sotto casa alle sei del mattino, già avvisate”. Già, avvisate da chi? Già presenti in tempo per carpire parole e volti stupefatti dopo la perquisizione un’ora prima, alle cinque di mattina. E lasciamo pure sullo sfondo i “tanti titoloni in prima pagina, tante trasmissioni” che ne sono la conseguenza. Appunto, chi ha avvertito le tivù? Lodevolmente sveglie e in azione fin da ore antelucane? Come mai? Perché? Naturalmente nessuno qui vuol dare la colpa a chicchessia sparando nel mucchio dell’apparato giudiziario. Diciamo, anzi, che se il fomite dell’arrivo dei mass media è ravvisabile in qualche vocina del tribunale locale, in questa sede e in questo momento interessa relativamente perché vogliamo soffermarci proprio su quelle tv sotto casa alle sei di mattina. Conte, peraltro, è uno dei tantissimi anelli di quella speciale catena spettacolare che, a bassissimo costo produce un’altissima audience, al netto degli (eventuali) straordinari per le troupe antelucane. È la nuova catena dello schiavismo mediatico che sottopone il “negro” di turno allo speciale format dell’identikit criminalizzante, con voce sottostante e relativi pareri giustizialisti privi, quasi sempre, di qualsiasi riflessione garantista. Conte, che è stato un grande calciatore ed è un ottimo cittì, deve aver fermato l’indelebile fotogramma della sua via crucis ricordando, forse, l’identico stop frame toccato a Enzo Tortora, con tanto di manette e con tante, tantissime troupe avvisate prima. Ci si chiede, a mente fredda, perché nessun addetto a quelle troupe: un operatore, un giornalista, un aiutante qualsiasi non abbia avuto se non il rimorso almeno un cenno di pietà, di misericordia o di solidarietà umana. Di carità, direbbe Papa Francesco.

E ci si domanda, ancora, perché dopo i due casi citati - peraltro famosi e fino al giorno prima di rispettabili e rispettati personaggi - simili spettacoli siano continuati imperterriti, implacabili e cruenti fino a oggi. Proprio oggi, quando leggiamo dell’assoluzione di Davide Boni (leghista, già presidente del Consiglio regionale lombardo) prosciolto da ogni accusa, dopo due anni. Ma prima, allo scoppio dello “scandalo” non erano state le solite “troupe avvisate prima” a incaricarsi della narrazione enfatizzante l’accaduto, a porre il marchio dello “schiavo dei media” sulla fronte del malcapitato? Tanti, troppi malcapitati, anche nel mondo della politica sulla quale - grazie non solo alle solerti troupe ma a certi talk-show assurti a corte di giustizia con tanto di conduttore che incita alle criminalizzanti dimissioni immediate, reciproche, per avvisi di garanzia, condanne di primo grado o indizi probatori, senza nessuna condanna, si capisce - si riversano quotidianamente tonnellate di fango, spesso da parte di avversari fuori e, quel che è peggio, dentro il partito. Il cui unico scopo è il definitivo relegamento della politica nel carcere di massima sicurezza dell’antipolitica, sia essa grillina, neoleghista, neofascista e, qua e là, di destra tout court.

L’antipolitica è una brutta bestia che, spesso, si rivolta anche contro i suoi conduttori mediatici. Ma, si dice, lo spettacolo delle manette a go-go non è casuale in un Paese pervaso dalla corruzione. Il fatto è che già venti e più anni fa si imploravano gli addetti alla crocifissione mediatica affinché collaborassero a debellare una volta per tutte quel cancro. E la collaborazione fu convinta ma divenne un’alleanza. Ci fu chi, dall’alto del pool, annunciò ad un certo punto che quel tumore era finalmente estirpato nella politica giacché il famigerato Caf era finalmente stato condannato. Beh, risentitevi i pareri del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati a proposito della progressione geometrica di quel cancro, venticinque anni dopo. Ed è un peccato che molti inesausti comunicatori, prima di sentirsi obbligati alla legge secondo cui “the show must go on”, il loro show - beninteso - non leggano e non diffondano via etere la frase, invero lapidaria, di Francesco Saverio Borrelli: “Se fossi un uomo pubblico di qualche Paese asiatico dove, come in Giappone, è costume chiedere scusa per i propri sbagli, vi chiederei scusa per il disastro seguito a Mani pulite. Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale”. Ipse dixit.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:59