Ciao amato Marco, ti saluto così

Ciao amato Marco Pannella. La morte di un padre spirituale di tutto un Paese paralizza dal dolore. Uno che scrive a fare. Non hai bisogno di coccodrilli, come non avevi necessità di un seggio da senatore a vita. Magari l’epitaffio è per tutta quella parte finale del secolo e del millennio scorso che ha visto te come indiscusso protagonista nazionale e transnazionale. La fame nel mondo, l’abolizione della pena di morte persino la grande e ultima illusione della transizione dalla ragione di Stato allo Stato di diritto internazionale erano tue utopie che piano piano i somari politici che portano sulla soma le proprie responsabilità oltre che, immeritatamente, i destini dl mondo, piano piano assimilano e cercando di portare avanti.

D’altronde che può dire un povero e addolorato cronista radicale di un uomo che ha scelto prima dell’attuale Papa lui il nome di Francesco, il nome del santo che si spogliò dei propri averi? Hai cambiato persino la Chiesa dopo aver cambiato l’Italia e una perdita politica come questa è peggio di Hiroshima e Nagasaki messe insieme. Il tutto poi in una nazione che quando muore un qualsivoglia politico non è che abbia tutti ‘sti motivi di rimpianto.

Passando al rimpianto, siccome non ho avuto il privilegio di partecipare alle visite, singole o collettive, a casa tua, né ho avuto la forza e l’invadenza di chi si è presentato alla porta, sono costretto a salutarti così. Senza averti visto. Anche se occasioni, pure negli ultimi anni, non ne sono mancate. C’è stato anzi uno strano destino: ricordo che nel 2014 più volte avevi manifestato l’interesse di prendere un taxi e di andare insieme con me a fare una visita a mio padre Giovanni, che hai conosciuto bene in passato negli anni Sessanta e Settanta, hai anche lavorato al “Giorno” come lui, ma non si è fatto in tempo. Papà se ne è andato il 19 febbraio del 2015 e ricordo che quando te lo dissi al telefono ci sei rimasto male. Pensa allora adesso come mi sento io, che a poco più di un anno di distanza mi trovo nella stessa situazione pur avendo telefonato e chiesto innumerevoli volte di te a Matteo Angioli. Ebbi solo un appuntamento che mi fu disdetto last minute, poi solo il silenzio. Non era il caso. Ad un certo punto Angioli nemmeno più ha riposto al telefono e agli sms ma non gliene faccio un cruccio: deve essere stato difficile gestire questo periodo.

Però leggere delle passerelle di alcuni politici, ormai non più determinanti per il Paese, che non hanno rinunciato a farsi il selfie con te, e di altre persone che, più per ottenere visibilità che per vero amore, hanno avuto il privilegio di vederti un po’ mi fa male. Io mi sarei accontentato di una chiacchierata discreta, senza foto da esibire sui social network come un trofeo. Il destino e il volere un po’ sciatto degli uomini ha disposto altrimenti. Così ti saluto con queste poche righe Marco Pannella, unico politico che io abbia mai amato. Sei stato per l’Italia quello che l’Italia non è mai stata per te: un Paese che ti meritasse.

Se abbiamo un briciolo di diritti civili e di modernità lo dobbiamo a te ed a quella pattuglia di sfigati che volta per volta ti portavi dietro. Alcuni di loro adesso si illudono di sopravviverti politicamente, anche se è chiaro il disegno della Bonino e dei boniniani, compresi gli opportunisti dell’ultimo momento, di trasformare la galassia di ong in partitello di complemento del Partito Democratico, o male che vada, in gruppuscolo di sinistra libertaria sempre nell’orbita ex Pci. Lo si capisce da certe trasmissioni di politica estera ed economica che oramai impazzano pure su Radio Radicale.

Sei stato e ancora rappresenti la forza delle idee liberali dello scorso millennio e un bel po’ di esse le hai anche traghettate in quello appena iniziato. Ma nubi fosche si addensano su tutto il pianeta: i politici sono una manica di esibizionisti e di mentecatti con qualche lodevole eccezione. Alcuni lo hanno dimostrato anche venendo a farti visita dopo averti tenuto lontano dalle tivù di Stato per quasi tutta la vita, in modo che il messaggio radicale arrivasse agli italiani in maniera molto ma molto mediata. E spesso distorta. Ne sia prova il fatto che ancora oggi c’è qualche coglione che continua a parlare di “liberalizzazione” delle droghe leggere quando tu hai sempre pronunciato il lemma “legalizzazione”... “Ce facevano o ce erano”? Sarà l’ultimo dilemma amletico della tua grande mente e della tua grande anima. E non è detto che non ci sia una terza soluzione: “Un po’ ce fanno e un po’ ce sono, Marco”. Questa ingrata patria a Marco Pannella voleva trasformarlo in monumento nazionale vivente e bene hai fatto a stoppare sul nascere il tentativo di contentino con il laticlavio di senatore a vita. Ancora ricordo quando proprio al Senato un noto giornalista, che un tempo ha lavorato a Radio Radicale, mi parlò male di te e bene di Andreotti ai cui servigi in seguito era passato. Erano i primi anni Novanta. Capii così di che pasta erano fatti anche alcuni di quelli che in certi periodi della loro vita erano passati per via di Torre Argentina o in via di Principe Amedeo.

E la tristezza, ora che non ci sei più (dalle 13,45 di ieri), è che loro continueranno ad esserci. Ma io ti prometto che non sarò mai così. A me questa maniera di fare politica ha sempre fatto orrore. Io mi congedo così: “W Pannella”. Après toi, le déluge.

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:04