La Ferrari (Rossa)  e il Gp di Roma

Sorprende e suscita il sorriso la polemica di questi giorni sulla Ferrari di Alfio Marchini che si è aperta a Roma in vista delle elezioni. Sorprende perché solo i finti tonti cadono dal pero alla scoperta della ricchezza vissuta, goduta, voluta e apprezzata da tanto mondo della sinistra comunista e postcomunista. Non si contano, infatti, in Italia i ricconi che da sempre appartengono e fanno il tifo per la sinistra cachemire e Lenin, soldi e Marx, salotti eleganti e Gramsci. Una realtà antica che, dalla Costituzione repubblicana in giù, ha segnato la storia della sinistra comunista italiana e di un grande pezzo della società di classe, che l’ha sostenuta e affiancata. Si potrebbe fare un lunghissimo elenco d’imprenditori, artisti, borghesi, industriali e professionisti molto, ma molto danarosi che, dal caldo del loro comodo benessere, parlavano del sacrificio e della povertà. Un elenco tanto lungo e griffato da riuscire nel tempo a creare uno stile, una moda, il cosiddetto “radical-chic pensiero” dei cenacoli illuministi della sinistra più o meno radicale.

Del resto quella sinistra è sempre stata divisa in due segmenti prevalenti, ossia la base, fatta dal mondo operaio, proletario, lavoratore, che sgobbava tutto il giorno e con fatica e sudore sbarcava il lunario e il vertice, con l’intellighenzia dei caminetti di lusso. Abbiamo conosciuto una quantità di persone che votava Pci e parlava di Fidel Castro e Mao, di Gramsci e Togliatti con fervore e vicinanza, mentre beveva champagne di marca sulla tolda dei loro velieri d lusso. Un’infinità di volte abbiamo incrociato la sciabola della dialettica sull’onestà intellettuale, con gente che da splendide verande fronte mare di case e ville di famiglia, mentre si faceva servire tartine d’aragosta, attaccava il capitalismo e difendeva il comunismo. Abbiamo visto addosso a convinti elettori del Pci (uomini e donne), mentre discutevano di produzione e distribuzione di ricchezza, Rolex, Kelly di Hermes, pellicce, gioielli di Tiffany, alla faccia del pauperismo cattocomunista.

Per questo, diciamo che viene da sorridere alla meraviglia di qualcuno sulla Ferrari di Marchini, erede di una ricca dinastia di costruttori romani, intimi con Botteghe Oscure. Del resto, tra gli stessi grandi e importanti politici del Pci di allora come dei postcomunisti di ora, di veri proletari in lotta per lo stipendio, ne abbiamo visti sempre molto pochi. La verità è che ai seguaci di Marx la ricchezza è sempre piaciuta e tanto, come l’accumulazione di capitale, l’accrescimento del patrimonio, l’utilizzo delle copiose rendite e quanto altro, punto.

Del resto, in settant’anni di Repubblica non si contano le carriere politiche, manageriali e statali che, in ogni settore, hanno reso posizioni d’oro e benessere in quantità a questo mondo. Sia chiaro, tutto lecito, tutto in regola, almeno all’apparenza, ma indipendentemente da questo nella loro sfera intellettuale il problema della coerenza nello stile di vita e nell’approccio con il benessere vero non si è mai posto. Bastava votare Pci per sentirsi migliori, solidali, giusti.

Insomma, senza tanta difficoltà passavano dall’arringa di piazza contro i padroni, gli sfruttatori, gli affamatori di popolo, alle cene d’élite nei comodi appartamenti della Milano, Torino, Roma, cosiddette “bene”. Non è una novità come non è un reato, al massimo è la testimonianza di qualcosa che non torna, di una collisione, di un’incoerenza fra il detto e il fatto. Insomma, noi la chiamiamo ipocrisia ideologica, voi chiamatela come volete. In fondo tante e grandi sono state nel nostro Paese le ipocrisie storiche, ideologiche, politiche, che hanno contribuito, dalla Resistenza in giù, a falsificare di tutto. Lo stesso Vaticano in senso lato, c’è stato dentro e chissà, magari per questo è nato il cattocomunismo. Dunque, basta polemiche sulla Ferrari di Marchini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:49