
Ho sempre più dubbi sul Papa di Roma. Da laico e da Cristiano. Da laico (e da cittadino) mi domando che cosa si vuole veramente giustificando, e anzi promuovendo in tutti i modi, una immigrazione così incontrollata e compulsiva da rischiare di compromettere, oltre alla coesione sociale, anche un precario equilibrio economico insieme ad ogni parvenza di legalità?
Mi piacerebbe rispondere semplicemente che spesso “le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni” e mi ci consolerei, ma mi riesce difficile anche credere alle buone intenzioni, perché si utilizzano delle similitudini evidentemente false. Come quelle della nostra passata emigrazione. Oggi abbiamo centinaia di migliaia di persone che sbarcano sulle nostre coste senza documenti (spesso volutamente), portati da barconi illegali condotti da criminali comuni (o fanatizzati) ed abbandonati in mare nella quasi certezza di un soccorso delle nostre navi, senza controllo e molto spesso con il rifiuto (che ci viene rimproverato in Europa) di farsi identificare anche con le sole impronte digitali. Abbiamo bambini che vengono imbarcati da soli, per speculare sulla naturale pietà, da parte di genitori incoscienti di stampo peggiore di quelli che li mandano a mendicare o rubare e viaggiano grazie ad una poderosa organizzazione ramificata che provvede a trasportarli, contando sul fatto che un buonismo ambiguo (e politicizzato) provvederà poi al loro gramo sostentamento, senza il miraggio del quale nessuno si muoverebbe.
No, niente a che spartire con la nostra emigrazione, che era praticamente sempre legale, con documenti di riconoscimento, a bordo di bastimenti brutti ma regolari e con un controllo poliziesco deciso e fiscale (Ellis Island) ed il rimpatrio sicuro in caso anche solo di dubbio. Un’emigrazione verso Paesi enormi e spopolati, in piena espansione e che chiedevano gente; dove venivi affidato a te stesso e al tuo solo lavoro ed eri obbligato rudemente a seguire le leggi locali, non come oggi verso Paesi medio-piccoli, sovrappopolati, in crisi economica, che gravano l’assistenza pubblica, già dissestata, di spese assistenziali aggiuntive e “comprendono” e tollerano qualunque comportamento. E tutto in tempi troppo rapidi. Non succede più come in passato (anche da noi) che il tempo trasformi un immigrato legale in un nuovo cittadino, sì che quello successivo si aggiunga non ad un altro immigrato precedente, ma semplicemente ad un “recente italiano”, che si possa avere insomma integrazione, anziché, come ormai avviene, specie con gli islamici, una volontaria segregazione culturale, accoppiata ad una intolleranza aggressiva verso la nostra cultura e la nostra libertà di costumi.
Non so se ci si renda conto che si rischia di mettere in crisi non solo la nostra democrazia, ma anche la pace sociale e la struttura stessa della nostra società. A meno che... non sia proprio la società liberale e laica che si voglia distruggere, quella società che coltiva il libero pensiero, che ha cancellato il potere temporale, che ha determinato il progresso scientifico e sociale; la società che, con i suoi libri, i suoi giornali e film, ha cambiato il costume e magari chiede conto al Vaticano dei suoi affari. È un sospetto che ho anche da Cristiano. Ma come Ratzinger va a Ratisbona e ribadisce che il Cristianesimo è diverso alla radice dall’Islam, perché l’adesione alla nostra religione non vale nulla se non è completamente libera da condizionamenti, mentre nell’Islam non è ammessa la conversione ad altre fedi; Bergoglio, invece, dopo l’attentato omicida a Charlie Hebdo, quando in tanti difendevano la libertà di espressione, dichiara in televisione che non è ammissibile la satira contro la religione, perché è come offendere la mamma e uno, se tu offendi la mamma, logicamente ti da un pugno. Ma che concezione del Cristianesimo è questa? Non certo quella del Fondatore e non c’è dotta chiosa gesuitica che possa nascondere questa verità, perché, anche a tener conto che una frase colloquiale può risultare infelice, la sostanza del suo pensiero resta ed è preoccupante.
Si vuole una società destrutturata, che rifiuti la tradizione classica e quella illuminista e i valori della cultura, perché odorano di razionalismo? Cosa si deve pensare quando vengono messe delle docce per i clochard tra le colonne del Bernini a San Pietro, da parte di una chiesa che dispone in tutta Roma di un immenso patrimonio edilizio? Se si voleva dare un esempio di umiltà, il messaggio è al contrario devastante, perché equivale a dire che il bello, l’arte, è roba da ricchi, qualcosa a cui i poveri sono inevitabilmente negati.
Togliatti, che non era un uomo di destra, spese tutta la vita per affermare che l’arte, la cultura, dovevano essere un valore per tutti, anche e soprattutto per il proletariato; è una delle pochissime cose positive che gli riconosco, ma questa sì. Posso certo sbagliare, ma non mi sembra che si possa parlare di un papato dei poveri (cambiare appartamento in Vaticano non è poi gran cosa) di un po’ di facile demagogia, ecco, forse sì. Di un’altra cosa sento invece parlare molto poco, al di là delle formule canoniche tradizionali: della Trascendenza. È come se in questo momento storico la Chiesa di Roma si volesse trasformare in un grande istituto sociologico dedito a pratiche sindacali, alla ricerca di formule tutte terrene, poca religione e molta politica. Un papato molto temporale, insomma. Sono certo che le penne di sapienti gesuiti, o di chi per loro, potranno confutare con maestria causidica le mie scarne considerazioni, che anzi risulteranno alle loro orecchie rozze, oltre che irriguardose, ma non ho il dono dell’infallibilità e non parlo ex cathedra.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:03