
Come sempre in Italia si tende ad esaltare la faccia della medaglia che piace, quella che fa più trendy, quella che mancava per essere finalmente un Paese moderno, aggiornato e al passo con i tempi. Insomma, da noi l’ipocrisia spinge a dimenticare che, invece, la medaglia di volti ne ha due e spesso quello che ambiguamente si trascura è quello che porta guai e conseguenze. Oltretutto la cosa grave è che i guai e le conseguenze peseranno sulle spalle di ognuno e dunque anche di quelli che la medaglia sul petto non la volevano proprio, né per l’una e né tantomeno per l’altra faccia.
Premesso che, per quel che ci riguarda, in linea di principio la regolarizzazione in punta di diritto delle unioni omosessuali sia un fatto giusto, il problema nasce sul modo per farla, che come al solito è all’italiana. Nel nostro Paese, infatti, si continua a produrre leggi che si innestano su altre leggi, si sanciscono nuovi diritti che si intrecciano con quelli esistenti, si inserisce il nuovo senza considerare o modificare il vecchio. È per tale ragione che l’Italia, Governo dopo Governo, è diventata un leggificio,una fabbrica di leggi spesso in conflitto tra loro, di dubbia interpretazione, aperte comunque alla possibilità di scatenare conflitti, contenziosi e liti di ogni genere. Non è un caso del resto che l’Italia sia uno dei Paesi giuridicamente più rissosi, ingolfati e ossessionati dalle dispute giudiziarie. Vale per le questioni civili, penali, non parliamo poi per quelle fiscali. Siamo insomma un immenso canestro di conflitti fra privati, privati e pubblico e ovviamente fra pubblico e pubblico. È questa una delle ragioni per la quale lamentiamo vigorosamente la lentezza della giustizia, l’ingiustizia della giustizia, l’assurdità di certe sentenze e così via.
Qui ovviamente non c’entra nulla il duello fra politica e magistratura, il problema di una magistratura politicizzata, schierata oppure orientata che sia, c’entrano solo le maggioranze di Governo e il loro modo di legiferare. Un modo che, come dicevamo, da decenni è sempre lo stesso, aggravato dal fatto che da noi si emanano provvedimenti solo per il consenso, per garantire più potere, per favorire questo o quello, piuttosto che per il bene del Paese e per assicurargli un futuro migliore ed economicamente sostenibile.
La legge approvata con l’ennesimo colpo di fiducia, sulle cosiddette unioni civili, è la plastica testimonianza di tutto ciò, un miscuglio di cose giuste e sbagliate, di diritti concessi e negati, di prerogative conflittuali e che più ne ha più ne metta. Insomma, il risultato non della volontà di fare ordine all’interno di una situazione che oggettivamente lo richiedeva e meritava, ma della prova di forza di Matteo Renzi contro i suoi antagonisti. Del resto il Premier fa così, e lo fa dall’inizio; per dimostrare la sua onnipotenza si incaponisce e pur di vincere è disposto a tutto, per questo i voti di fiducia sono diventati una barzelletta mondiale.
La legge sulle unioni civili per come è creerà una montagna di problemi alle casse dello Stato, agli stessi interessati, alle loro famiglie e ai loro parenti stretti. È questa l’altra faccia della medaglia che, dietro le feste, i brindisi, i pugni chiusi levati per la vittoria, si è volutamente nascosta al Paese e ai cittadini. Ci saranno guai seri per la sostenibilità del sistema previdenziale, che di suo è già messo malissimo, ci saranno dispute e ricorsi fra eredi, ci saranno contenziosi per le imputazioni fiscali, per la perfezione dei negozi giuridici. Con questa legge i dolori saliranno anziché diminuire. Ecco perché le prova di forza devono finire, ecco perché sarebbe ora che Renzi capisse la realtà del Paese, ecco perché bisogna smetterla di inficiare il futuro, ecco perché le leggi vanno fatte con la testa e non con i piedi. In conclusione, per come è stata varata questa legge è più una patacca che un successo. Salvarsi dicendo meglio questo che niente è una sciocchezza planetaria, inutile e dannosa. Le leggi della Repubblica, che ricordiamo, coinvolgono tutti ma proprio tutti, sono una cosa seria e sarebbe tempo che la maggioranza se lo ricordasse.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:49