
Il sindaco Cinque Stelle di Parma, Federico Pizzarotti, è indagato dalla Procura cittadina, insieme al suo assessore comunale alla Cultura, per abuso d’ufficio in merito alle nomine relative al Teatro Regio. La vicenda piomba sul capo del Movimento proprio all’indomani dell’avviso di garanzia spiccato ai danni del sindaco pentastellato di Livorno, Filippo Nogarin, per concorso in bancarotta fraudolenta.
In precedenza c’era stato il caso Quarto, ove il sindaco grillino Rosa Capuozzo – prima difesa e poi scaricata dal direttorio del suo partito – era stata oggetto di un tentativo di estorsione messo in atto da un consigliere comunale della sua stessa formazione politica.
Ancora prima, agli onori della cronaca (ma senza atti formali a livello giudiziario) era salito il sindaco grillino di Pomezia, Fabio Fucci, il quale aveva prorogato l’appalto per la gestione dei rifiuti ad un’azienda in orbita Buzzi (il principale indagato nel processo “Mafia Capitale”) mentre in precedenza era stato beccato con le dita nella marmellata per aver nominato assessore la sua compagna (poi dimessasi con comodo) e perché aveva nominato a capo della Multiservizi un certo Luca Ciarlini indagato per frode.
Non dimentichiamo il sindaco di Bagheria ed un suo assessore, i quali si sono fatti impallinare a causa di uno scandalo su presunti abusi edilizi, Angelo Malerba (consigliere comunale di Alessandria) beccato a rubare negli armadietti di una palestra, Diletta Bilotta consigliera di Genova arrestata per spaccio e Stefano Costa, attivista a cinquestelle di Bassano, implicato in una presunta storiaccia di rapimenti.
Si tratta forse di condannati o di delinquenti? Non lo sappiamo e non abbiamo strumenti per giudicare le indagini, per cui sarà la magistratura ad accertare i fatti e chiarire la posizione di persone che per noi hanno tutto il diritto di spiegare l’accaduto e di essere considerati innocenti fino a prova contraria.
Il dato più eclatante è che la presunta superiorità dei cinquestelle non esiste tanto che, alla prova dei fatti, costoro governano male come tutti gli altri e restano invischiati in pasticciacci brutti tanto quanto quei parrucconi della casta verso cui le nostre care anime belle quotidianamente si scagliano. Se si considera che gli amministratori locali grillini sono pochi, la percentuale di indagati è anche molto alta rispetto al totale tanto che, su 17 amministrazioni locali pentastellate, ben 13 sono state attenzionate dai magistrati. Questa mappa delle stelle cadenti, manco fossimo nella notte di San Lorenzo, implica una serie di considerazioni tanto banali quanto opportune: in primo luogo non esiste un partito strutturalmente onesto e non esiste una società civile più pulita dei politici di professione. Noi teorizziamo l’equidistribuzione dei farabutti e l’infondatezza di tutte le sciocchezze relative a presunte superiorità antropologiche di cui più d’uno ciancia bellamente (quando le indagini non riguardano la sua parte).
La seconda considerazione riguarda le cause di questa deriva giudiziaria le quali, a nostro avviso - escludendo ovviamente i casi relativi a droga e rapimenti - risiedono nelle normali dinamiche in cui s’imbatte chi entra nella stanza dei bottoni. Benvenuti sulla Terra insomma, cari cinquestelle, e benvenuti a contatto con i problemi che gli amministratori contro i quali quotidianamente lanciate strali, devono affrontare quando si trovano a doversi muovere nella selva di leggi che imbullonano l’attività rendendola altamente rischiosa.
Molto spesso, come nel caso di Pomezia, un problema come l’emergenza rifiuti non aspetta le carte bollate: l’immondizia è nelle strade e tu amministratore sei costretto a prorogare gli affidamenti perché non puoi aspettare. Il rischio è di vederti magari additato dai soliti giustizialisti come maneggione o, nella peggiore delle ipotesi, accusato dal solito magistrato impaziente di aprire la caccia al cinghiale.
Benvenuti nel caos delle municipalizzate, come nel caso di Livorno, e dei fallimenti che non aspettano i tempi stabiliti dalle norme per la revoca degli amministratori secondo le normali procedure. Magari tu agisci in buona fede per evitare il fallimento di una municipalizzata, ma qualcuno ti verrà a dire che il tuo è un abuso d’ufficio o una bancarotta fraudolenta e ci sarà sempre il politico più puro di te che griderà alla corruzione e ti sbatterà in prima pagina manco fossi un mostro. Benvenuti nel difficile mondo delle nomine e degli errori che si possono commettere, come nel caso di Pomezia o Parma, senza che dietro ci sia chissà quale trama oscura, chissà quale favoritismo o chissà quale “Mafia Capitale” da dover sgominare. Benvenuti al sud, come nel caso di Quarto o di presunte infiltrazioni della ndrangheta ad Imperia, con tutte le difficoltà e le contiguità con ambienti criminali delle quali, a volte, ti accorgi troppo tardi quando ormai qualcuno, come avete fatto voi in tanti casi (vedi Alemanno), ti ha già affibbiato l’appellativo di capoclan.
E allora, una volta superata la fase puerile in cui si sventola la Costituzione e si gridano slogan all’insegna dell’onestà ipocrita e pelosa, una volta che le mani sono sporche di politica fatta sul campo e non di fighettismo bacchettone e finto barricadero tipico di chi dall’opposizione la fa facile, ecco che il registro verbale cambia radicalmente. E si passa infatti dall’espulsione immediata e senza complimenti di Andrea Defranceschi, capogruppo del M5S in Regione Emilia Romagna implicato nella vicenda spese pazze e poi assolto, al “vedremo” e “cercheremo di capire” di questi ultimi giorni. Prima i sospettati di scarsa purezza li espelleva “la Rete” per semplici opinioni contrarie alla linea di partito mentre oggi il direttorio, per bocca di Fico, fa sapere che “se dovesse emergere una condotta contraria alla legge ed ai principi del Movimento, chiederemo un passo indietro”.
Quando eravamo contenti che i grillini fossero finalmente giunti alle formule dubitative ed a più miti consigli, ecco piombarci inaspettate e gradite le parole garantiste di Virginia Raggi, candidata sindaco di Roma: “Gli avvisi di garanzia non devono essere usati come manganelli”. Udite udite, scopriamo quindi che, dopo il garantismo del Partito Democratico scaturito dalle 101 indagini a suo carico, adesso esiste anche il garantismo pentastellato. Tutti folgorati sulla via del berlusconismo?
Tutti tranne Beppe Grillo, che ha deciso di sospendere Pizzarotti dal Movimento adducendo come motivazione la presunta mancanza di trasparenza da parte del sindaco che non avrebbe fornito le carte processuali.
Ma non doveva essere la Rete a decidere? Siamo alla fiera dell’utopia.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:00