Il “regime culturale”, la corte di Renzi

Per meglio comprendere il periodo che si sta vivendo, forse per trarne conforto, occorrerebbe affidarsi ancora una volta a quella mirabile macchina del tempo che è la storia, la nostra storia.

Non si chiede al lettore di compenetrarsi nei mal di pancia della “classe intellettuale” (troppo cara a certe sinistre orfane del Partito comunista italiano), ma di capacitarsi che “la libertà di stampa è normale che non possa esistere ed è solo degli editori”, che “i giornali in Italia nascono e muoiono sotto elezioni” e, soprattutto, “servono per alloggiare i figli sciocchi delle persone importanti” (questi ultimi tre aforismi erano di Indro Montanelli). Gettate le premesse, convincetevi, la nostra crisi della politica è apocalittica, per certi versi già vista con gli avvenimenti che sfociarono nella crisi delle corti nel Cinquecento. Oggi si sta vivendo un misto tra “Medioevo cibernetico” e “neo-cortigianesimo”.

Il cittadino si trasforma in suddito, e la rinnovata Signoria veste nuovamente i suoi panni “firenzocentrici”. Piccolo particolare, non secondario, è che oggi non c’è splendore intellettuale né dialettica politica nella vita civile. Sono del tutto assenti fervore e passione che avevano la vita comunale e poi il confronto culturale nella Signoria. Oggi non esistono più i presupposti per la partecipazione dei cittadini alla conduzione del potere. Il cittadino viene uniformato alle decisioni di uno solo, che a sua volta è vassallo di un più ampio sistema tecnico-finanziario.

Il cittadino non partecipa più alla vita della città come della nazione, perché entrambe sono ormai identitariamente estinte nelle finalità della politica. Come ieri il principe rinascimentale preferiva assoldare le milizie mercenarie straniere, altrettanto accade oggi con manager e consiglieri estranei al tessuto dell’Italia. Netta è oggi la separazione tra potere gestito dall’alto e società civile: il palazzo è troppo lontano e odiato dalla piazza. I nuovi signori vivono lontano dagli umori dei cittadini, circondati unicamente da funzionari e intellettuali di sistema che fanno passerella nei grandi contenitori televisivi o sulle cosiddette “testate autorevoli”. Il mondo della nuova corte è un mondo chiuso. Ecco perché al potere del signor Matteo Renzi non fa da contrappeso alcuna opposizione.

L’opposizione è materia da intellettuali e non certo da cortigiani, né tantomeno da “intellettuali organici” (cari al vecchio Pci). Ma il pensare e lo scrivere vivono e soffrono per mano di una grande bestia, la committenza. Il signore si circonda di persone a lui fedeli, di funzionari a lui devoti, obbedienti. E chi detiene il potere oggi in Italia sa bene che sta verificandosi nuovamente quanto capitò nel Quattrocento, ovvero la perdita d’indipendenza degli Stati italiani. In quella crisi d’indipendenza italiana rinascimentale, solo a Firenze venne concesso (e nella persona di Cosimo de’ Medici) di farsi i fatti propri.

Ecco perché non possiamo considerare intellettuali l’esercito di stipendiati di televisioni e giornali: loro sono figli del sistema comunista (caro allo storico della letteratura latina Concetto Marchesi, padre costituente e Pci) che ha edificato in Italia la “classe intellettuale”, pronta a sfilare accanto alla “classe operaia”, contadina, impiegatizia… L’intellettuale vive invece appieno le alterne vicende, la fame. L’intellettuale ha un dialettico rapporto con la committenza, con quel mecenatismo che si dimostra matrigna. Un esempio tipico è rappresentato da Francesco Petrarca, intellettuale per certi versi sostanzialmente diverso rispetto al tipico intellettuale di corte. Petrarca è come i moderni scrittori senza tessere ed appartenenze, uno sradicato che girava per le corti d’Europa, conscio del suo valore e per questo accantonato da un sistema che gradiva e premiava i dilettanti della letteratura, gli impiegati che scrivono poesie. Petrarca era come Guareschi, Pasolini, Flaiano, per questo motivo precursore e fondatore di quell’Umanesimo troppo lontano la visione burocratica che oggi si vorrebbe imporre a scrittori, giornalisti, pittori e pensatori.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:54