Il grande debitore e le banche

C’informano i telegiornali (e non solo) che, come rimedio ai disastri bancari di questi ultimi mesi, il Governo starebbe varando modifiche (soprattutto) al codice processuale civile onde permettere agli istituti bancari afflitti, si dice, da sofferenze eccessive, di realizzare più sollecitamente i propri crediti espropriando i debitori: il tutto non risulta sempre spiegato chiaramente ai telespettatori come ai lettori. Provo a farlo io.

È noto che la giustizia civile italiana è tra le più inefficienti del pianeta: anni fa il primo presidente della Cassazione affermò, sulla base di una classifica internazionale, che era al 156esimo posto tra i 189 Stati del pianeta, all’incirca alla pari con l’Angola. Il tutto ovviamente si ripercuote (anche) sulla velocità dell’accertamento e della realizzazione dei crediti; per cui una giustizia siffatta è la più gradita ai debitori. E chi è il primo debitore nazionale? Lo Stato, da intendere come sistema pubblico (con tanto di Regioni, enti locali, Asl e così via): si comprende quindi che, data la lentezza della giustizia, il Governo ne abbia subito approfittato con una serie di norme - enormemente diffusesi dagli anni Novanta del secolo scorso in poi - volte ad allungare i tempi delle esecuzioni quando debitrici sono le Pubbliche amministrazioni; a rendere impignorabili le somme giacenti nelle loro tesorerie; a ridurre le spese legali dei giudizi con le stesse e dei pignoramenti da queste subiti.

Ma siccome queste (ed altre) misure speciali non erano sufficienti non sono mancati “ritocchi” di carattere generale, come l’abbassamento del tasso d’interesse legale (ora è allo 0,20 per cento), né apporti dovuti allo zelo di giudici convinti di poter salvare le finanze pubbliche con rimedi improbabili, come quello di evitare (o ridurre) le condanne alle spese di giudizio delle amministrazioni inadempienti. Da oltre vent’anni la legislazione sugli insoluti del grande debitore ha un solo scopo: di dare sòle ai creditori. E sulla “abilità” nel farlo si sono costruite carriere ed immagini. Personaggi di modesta levatura - morale ed intellettuale - sono stati venduti come super-tecnici e addirittura salvatori dai mass-media. Ma nella realtà il debito pubblico ha continuato ad aumentare (a dispetto del coevo aumento delle tasse), il Pil - da sette anni - a diminuire; le opportunità di lavoro a scemare.

Questo perché se è vero, nel breve periodo (qualche mese o giù di lì) che prorogare i pagamenti dà qualche sollievo, è noto ad ogni buon padre di famiglia che il sistema più sicuro per ridurre i debiti è di pagarli: dilazionarli senza saldarli, o pagandone solo una parte (modesta) è accanimento terapeutico; serve solo ad aggravare e prolungare l’agonia del paziente che si trova col debito aumentato.

E c’è altro: sia la legislazione di favore per i debitori pubblici che quella, ventilata, di favore per le banche creditrici, non sono conformi al principio di eguaglianza. Quel principio non solo sancito all’articolo 3 della “Costituzione più bella del mondo”, ma fondamento, scriveva Rousseau, della volontà generale che “parte da tutti per applicarsi a tutti”. Il quale in un caso si applica solo ad uno (il grande debitore) e nell’altro - sembra - a pochi (gli istituti bancari). Invece facciamo una proposta: aboliamo tutta la legislazione speciale di favore e torniamo al diritto comune (generale).

Tutti uguali quali creditori e debitori senza trattamenti privilegiati (per cui coloro che ne beneficiano diventano, come scriveva Orwell, più uguali degli altri). Anche perché, essendo il grande debitore pubblico anche il più grande pagatore (oltre il 50 per cento del reddito nazionale), togliere i vincoli a pagamenti ed esecuzioni vuol dire mettere più quattrini in circolazione, anche per i debitori delle banche. Le quali così si troveranno a poter ridurre le sofferenze senza dover godere di situazioni di privilegio. Consentendo così che ciascuno sia soddisfatto a parità di diritti e condizioni. Proprio quello che certe improbabili quanto ostinate soluzioni (e solutori) non vogliono fare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:04