
Nell’immediato dopoguerra, in una famosa registrazione sonora, Luigi Einaudi ammoniva: “Come conciliare l’irrompere delle grandi masse nella vita democratica, senza cadere nel cesarismo e nella tirannide, è il problema tuttora irrisolto delle democrazie”.
Da allora la situazione è molto peggiorata. La pervasività, la velocità e la ripetizione all’infinito della diffusione elettronica, all’interno di un sistema che ci traccia in ogni attività o spostamento ma che sfugge ad ogni nostra verifica (mentre è controllabile dai suoi centri motori), fa di tutti noi la generazione potenzialmente più massificata, oltre che spiata, della Storia. Non solo, ma accanto al rischio grave di una regia occulta che può orientare quasi tutto, dai comportamenti “trendy” alle ondate politiche, fino alle decisioni (ed alla selezione) dei governanti, vi è una forma nuova e casuale di condizionamento, dovuta all’enorme potenza di amplificazione della Rete mediatico-informatica in se stessa. Qualsiasi informazione capitata, anche solo incidentalmente, in Rete, viene immediatamente ridiffusa ed amplificata dalla catena e, se per un qualsiasi motivo (dall’occasionale mancanza di alternative interessanti, all’esistenza di gruppi maniacali organizzati, dalla presenza fortuita di parole di richiamo, al puro caso) trova una situazione favorevole, diffonde con una rapidità ed una moltiplicazione impressionante: diventa “virale”.
Insomma, la Rete non si limita ad amplificare temi e tesi volutamente e consapevolmente inseriti (in maniera aperta e dichiarata od anche subdola e mascherata), ma anche altri completamente casuali, con lo stesso identico effetto potenziale e, soprattutto, un effetto quasi completamente disgiunto dal reale valore intrinseco. Quando poi un qualunque tema si va ad innestare su di un altro simile, già preesistente in questa sorta di memoria collettivizzata, l’effetto delle ulteriori amplificazioni successive “di richiamo” dei motori di ricerca è stupefacente: si crea una vera e propria tendenza che tende a divenire irresistibile ed a cui è difficile opporsi mantenendo il senso critico. Se a questo si aggiunge la celebre “lezione” del giornalismo ad effetto, sempre solidamente posizionato nei network televisivi e nei giornali popolari, che recita “non essere il cane che morde l’uomo a fare notizia, bensì l’uomo che morde il cane”, si può cominciare a comprendere come vi siano vaste moltitudini che scoprono di colpo diete alimentari “etiche”, fonti energetiche salvifiche o nuove religioni apocalittiche. E queste fulminanti conversioni, ancorché superficiali e disinformate, sono molto spesso manichee, intolleranti, dogmatiche, per cui chi vi si oppone va criminalizzato, perché si oppone al buono ed al giusto assoluti.
Intendiamoci, tutto questo c’è sempre stato, le grandi ondate della storia tese a sacralizzare se stesse ed a demonizzare le precedenti, le abbiamo viste tante volte. Ad essere cambiata è la velocità con cui tutto ciò avviene; una velocità che impedisce la riflessione, l’approfondimento, il consolidamento, in una situazione di perenne eccitazione confinante con una cupa nevrastenia. Anche orientamenti tutt’altro che sbagliati in sé, come l’attenzione ai problemi ambientali o all’onestà come stile di vita e quadro di leggi, vengono radicalizzati e pervertiti fino a confliggere totalmente con altri valori almeno altrettanto essenziali: lo sviluppo, la proprietà, la riservatezza, la politica sociale, il diritto alla difesa, la libertà fino alla condanna. E così, sull’onda di esplosioni emotive (casuali o stimolate), vengono fabbricate di continuo nuove leggi, tutte particolari, tutte mirate, senza valenza generale, contro questa o quella ideologia specifica, contro questa o quella interpretazione storica, al servizio del credo di turno, come le grida del Medioevo. E chi ne scapita sono sempre la libertà e lo Stato di diritto, specie quando si crede, come si crede purtroppo oggi, che lo Stato- governo abbia sempre il diritto assoluto di modificare la società sottostante.
Ma c’è dell’altro a comporre il quadro. La democrazia egualitaria, divenuta demagogia di massa, tende a non considerare più come valori essenziali - o almeno utili - la conoscenza, la competenza, la cultura, lo stile ed è così venuta meno la consuetudine che, in Occidente, ha reso possibile per decenni, dopo l’avvento del suffragio universale, una transizione abbastanza ordinata verso una democrazia partecipata, grazie al sostanziale perdurare della fiducia nelle gerarchie tradizionali della società, che faceva sì che anche i partiti di massa fossero alla fine guidati da esponenti della società e della cultura borghese. Il risultato finale è che, da un lato la democrazia universale da imperfetto ma razionale ordinamento, diventa un totem fideistico (non siamo ancora a mettere ai voti la legge di gravitazione universale, ma ci stiamo arrivando), dall’altro la qualità e la competenza dei nuovi leaders politici peggiora in una misura preoccupante, sia per effetto del linguaggio mediatico semplificato che appiattisce le differenze e favorisce le personalità più rozze, sia per una quasi ribellione contro la conoscenza in generale (vogliamo gente come noi, siamo in democrazia, no?) che rifiuta la guida - in passato maggiormente accettata - di esponenti di quella borghesia produttiva (delle scienze, delle lettere, dell’università e dell’industria) forse distante e aristocratica, ma capace però di trovare più facilmente le soluzioni e le mediazioni che servono nella complessità del mondo moderno. Oggi il criterio principale delle selezioni politiche è la pura notorietà, quasi non importa come e perché (e con quali mezzi) ottenuta e, dato che per costruire una notorietà con opere positive occorre di solito una vita, mentre con una bella rissa televisiva (o tante comparsate “artistiche”, meglio se maleducate) si fa prima, è chiaro quale sia il bacino dei “noti” più ricco cui attingere.
La destrutturazione delle gerarchie tradizionali all’interno della società produce come corollario il fenomeno del leaderismo, fenomeno ben conosciuto a chi viene dal Novecento, quello che è nuovo però è la dirompente velocità con cui oggi si verifica. Non vi è nulla oggi che assomigli alla faticosa, lenta e pericolosa ascesa delle figure carismatiche di una volta, non vi è la necessità di una concomitanza di fattori epocali in questa epoca mediatica interconnessa e amplificatrice e tanto peggio se emerge uno di coloro che dedicano la loro esistenza ad una causa particolarissima vissuta con furore maniacale, sacrificando ad essa tutto e tutti, favoriti da uno scenario in cui le masse sono molto più motivate dal furore contro gli altri, che dalla difesa, per sé e per tutti, degli spazi di libertà e felicità personale. E tutto questo avviene in un mondo pesantemente armato, finanziariamente instabile, tecnologicamente incognito e in cui sono contemporaneamente attivi nuovi sofismi e superstizioni medioevali. Un mondo di Ferrari guidate da bambini. La conoscenza e la competenza non assicurano di per sé il buongoverno, figuriamoci poi l’ignoranza.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:47