Giustizia, un problema  da affrontare presto

Ai tempi del Governo Berlusconi, la maggioranza non poteva fiatare sulla magistratura, altrimenti apriti cielo! Oggi guarda caso succede il contrario e la reprimenda più dura è contro i giudici che parlano. Se avessimo spazio (un milione di pagine) potremmo fare l’elenco di quante uscite i giudici (Csm compreso) fecero contro il pericolo Berlusconi, ma allora non solo non c’era nessun caso “istituzionale”, ma “resistere, resistere, resistere” contro il Cavaliere era un ordine. Dire allora, come fece Antonio Di Pietro (“Io quello lì lo sfascio” - frase più o meno testuale dei resoconti giornalistici), non suscitava nemmeno stupore.

Oggi è cambiato tutto e lo stesso Premier Renzi, con la sua ben nota coerenza, passa dalla solenne dichiarazione offerta al Senato durante l’aula (“abbiamo assistito a vent’anni di barbarie giudiziarie”), a quella più naif offerta in Rai da Fabio Fazio (“evviva la magistratura”). Roba da non credere. In Italia funziona così a sinistra, nel centrosinistra, nell’alveo dei postcomunisti o cattocomunisti che siano, i giudizi e le riflessioni sulla magistratura sembra siano solo nella loro disponibilità. Del resto la storia sarebbe lunga da raccontare, anche perché bisognerebbe partire da Palmiro Togliatti ministro della Giustizia per spiegare i rapporti fra sinistra e ordinamento giudiziario, un unicum tutto italiano.

Per i comunisti ed i loro eredi, giustizialismo e garantismo sono sempre stati un elastico di proprietà esclusiva, da usare a piacimento, caso per caso. Per questo nel nostro Paese il rapporto fra politica e magistratura è stato diverso che altrove nel mondo, per questo una vera riforma della giustizia non è stata mai possibile, per questo i momenti di grave opacità sulla autonomia e l’indipendenza di uno dei poteri costituzionali, non sono stati pochi. Certo che, anche in questo caso, il centrodestra ha le sue colpe; specialmente nel 2001 c’erano tutte le condizioni per affrontare il tema di una grande riforma dell’apparato giudiziario, e non farlo è stato un errore e una debolezza grande. Qui, infatti, non si tratta di modificare il sistema per assoggettarlo alla politica mortificandone l’autonomia, si tratta semmai proprio del contrario, renderlo cioè davvero terzo, più moderno, snello ed efficiente. Solo così sarà possibile attrezzare al meglio l’apparato per garantirgli mezzi e strutture in grado di velocizzare, migliorare e assicurare autonomia, terzietà e indipendenza.

Del resto, da noi, anche il sistema giudiziario nasce costituzionalmente figlio di una suggestione costituente derivata dal dramma del fascismo. Ecco perché bisognerebbe metterci mano, senza pregiudizi e condizionamenti politici e ideologici. Basterebbe guardare al modello giudiziario anglosassone, come pure a quello francese, per avere spunti interessanti. In nessun Paese occidentale il fenomeno di antagonismo fra politica e magistratura e di politicizzazione dei giudici è evidente come da noi. Insomma, anche in questo caso torna il problema dell’albero storto piantato e cresciuto male, all’ombra di un pensiero cattocomunista che ha viziato la nostra storia. Anche per questo viene da sorridere a guardare la riforma costituzionale, sulla quale saremo chiamati a esprimerci ad ottobre. Tutto, infatti, si doveva e poteva modificare per migliorare il Paese tranne quello che è stato fatto. Comunque sia, “rebus sic stantibus” purtroppo ne vedremo ancora e forse di più belle e non ci piaceranno né in un senso né nell’altro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:48