
Cadono quest’anno 25 anni dalla morte di Giovanni Malagodi. Un maestro di libertà al quale la discesa nel campo della politica non rese un buon servizio (ancora oggi, molti che con lui non hanno avuto consuetudine alcuna, conservano della sua personalità una visione meramente economicistica, mentre profondi egli aveva invece – e poté farli valere specie in sede di Internazionale liberale – i valori di libertà, e chiari i modi di avvalersene per impregnarne la società).
Ricordo l’esperienza che, giovanissimo, ebbi con lui personalmente a proposito di una pubblicazione della sede centrale del Partito liberale. Posizione liberale era un foglio informativo settimanale che, nelle sedi provinciali del Pli, era (letteralmente) divorato. Era preciso, sintetico, aggiornato. Si faceva leggere, insomma. In omaggio al suo titolo, dava la “posizione liberale” su ogni problema del momento, motivandola. Lo redigeva personalmente Malagodi, che lo aveva concepito proprio per i quadri dirigenti, nel suo continuo sforzo di fare del Pli un partito efficiente, moderno.
Quando Malagodi – agli inizi del 1970, al quarto anno di vita del notiziario – mi chiese di assumerne la vicedirezione responsabile (direttore era lui), sapevo che non si trattava di un riconoscimento, benché minimo. La cosa era dovuta semplicemente al fatto che, da più di 10 anni, ero iscritto all’Ordine dei giornalisti, categoria pubblicisti (e ci voleva, e ci vuole, un iscritto all’Ordine per poter pubblicare un periodico). Ciò nonostante, giovane com’ero, la richiesta mi fece felice e mi rese, anche, un po’ orgoglioso. Come ho già detto, faceva tutto Malagodi in persona (pur celato dietro un “pomposo” – e di fatto inesistente – ufficio stampa). Quella “vicedirezione”, comunque, mi portò – per parecchi anni – ad avere con il mitico Segretario generale un rapporto non certo di dimestichezza, ma – comunque – di periodica frequentazione. Ed ogni incontro – per me, giovane che venivo da una piccola e dimenticata provincia come Piacenza – era una lezione di vita.
La stessa, sostanzialmente, che ritraevo da ogni riunione di Direzione centrale, dove entrai – qualche anno dopo l’inizio della mia “collaborazione” a Posizione liberale – per una “manovra” ordita in Consiglio nazionale da quello spirito generoso che era il senatore Enzo Veronesi. Imparai, da quegli incontri con Malagodi, che i “grandi spiriti” non disdegnano di fare anche le cose più piccole, sono grandi per questo. Solo chi non crede in se stesso e nelle proprie capacità, vive di forma e teme di perdere in immagine occupandosi delle cose minori. Negli ultimi anni della sua vita, Malagodi raccoglieva anche – personalmente – le ordinazioni di cartoni del suo vino toscano. Un particolare che m’è sempre rimasto impresso, e che tuttora non ho cancellato dalla memoria. Perché, anche questo, fa di lui un grande.
(*) Presidente Centro studi di Confedilizia
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:48