Fino a tre anni fa i detenuti condannati all’ergastolo in Italia erano 1500: un regime carcerario che non prevede né permessi né sconti di pena, “fine pena mai”. Ma il loro numero aumenta ogni anno. La tendenza dei giudici è comminare il carcere a vita per i crimini più efferati: quando la scelta è tra i 30 anni di carcere e l’ergastolo, oggi si propende per la seconda soluzione, perché chi ha scontato trent’anni difficilmente si potrebbe reinserire nell’attuale tessuto sociale, finendo ai margini o tra le maglie di un sempre più aggressivo sistema criminale. Di fatto l’Unione europea è per un miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri ma, purtroppo, anche per un incremento delle pene da scontare in detenzione: ergo, l’Ue vede di buon occhio che aumentino i ristretti, soprattutto nei Paesi della fascia mediterranea, considerati nel Nord Europa a forte rischio criminale. Per i detenuti europei ci sono varie tipologie d’istituto di pena (per adulti e per minorenni e di custodia preventiva), ma anche persone rinchiuse per motivi amministrativi, come quelle in attesa di riconoscimento dello status migratorio.
Nel 2015 i detenuti nell’Ue-28 (esclusa la Scozia) erano circa 643mila, e tra il 2007 e il 2015 il loro numero nell’Ue-28 (esclusa sempre la Scozia) è aumentato del 10 per cento. Nello stesso periodo la popolazione carceraria di Malta è aumentata di poco più della metà (53 per cento) e quella dell’Italia e della Slovacchia di poco più di un terzo (rispettivamente, 35 e 34 per cento). Tra i Paesi non membri dell’Ue si osservano forti aumenti (in termini relativi) per il Liechtenstein (97%), il Montenegro (51%) e la Turchia (41 per cento tra il 2007 e il 2014).
Nei periodi 2007-2009 e 2010-2015 i tre Stati membri baltici hanno registrato i tassi più elevati di detenuti per abitante: il tasso della Lettonia è rimasto stabile tra i due periodi, quello della Lituania ha registrato un aumento e quello dell’Estonia una flessione. Nel periodo 2010-2015 la media Ue-28 (esclusa la Scozia) è stata di 130 detenuti per 100mila abitanti, rispetto ai 125 del periodo 2007-2009. I tassi più bassi nel periodo 2010-2014 sono stati registrati negli Stati membri nordici e in Slovenia (tra 60 e 72 detenuti per 100mila abitanti). Ma la tendenza si conferma la scelta detentiva, anche per reati lievi che un tempo prevedevano un percorso di reinserimento, o che il condannato continuasse il proprio lavoro col vincolo di pernottamento nel penitenziario. La tendenza alla reclusione piace all’Ue, che considera il carcere utile a contenere lo strabordante numero di disoccupati che si danno al crimine. Ma che l’Unione europea sia orientata verso il riempire le carceri e, almeno sulla carta, la reintroduzione della pena di morte non lo si deve certo alle politiche dell’ungherese Orban o alle pressioni della Le Pen. La “pena di morte” è stata introdotta nel Trattato di Lisbona del 2010 a seguito di uno studio della Commissione europea sull’incremento dei crimini e su eventuali deterrenti. Il problema di una sua reintroduzione era stato sollevato per la prima volta da un giurista tedesco, Karl Albrecht Schachtschneider, durante una sua lezione sulla “Carta di Nizza” del 2007.
Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il primo dicembre del 2009, ratificato da tutti gli Stati membri dell’Ue: modifica ed integra due precedenti trattati (il Trattato sull’Unione europea, o Tue, ed il Trattato che istituisce la Comunità Europea), apportando sostanziali modifiche all’ordinamento. Ma, fortunati noi, la pena di morte è rimasta monca, e nessuno ha ancora sollecitato l’applicazione della reintroduzione da parte dei Paesi membri. Perché potesse tornare la ghigliottina, è stato modificato l’articolo 6 del Tue, e nella parte che prevede la “salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”.
Ma esaminiamo l’articolato in questione, che recita all’articolo 1: “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nei casi in cui il delitto sia punito dalla legge con tale pena”. Quindi all’articolo 2: “La morte non è considerata inflitta in violazione di questo articolo quando derivasse da un ricorso alla forza reso assolutamente necessario: - seguono i commi a. per assicurare la difesa di qualsiasi persona dalla violenza illegale; b. per effettuare un regolare arresto o per impedire l’evasione di una persona legalmente detenuta; c. per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione”.
Di fatto l’Unione europea sta orientandosi verso scelte liberticide, e non si comprende come queste possano conciliarsi con la storia europea degli ultimi sessant’anni. Certo, chi migra da Paesi del Terzo e Quarto Mondo, o fugge da guerre e dittature, considera questi come aspetti marginali. Per tutti gli altri il passo indietro è evidente, e c’è tanta paura di finire nelle maglie pressappochiste della giustizia.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:57