
Verrebbe da dire Rai, “di tutto, di meno”, meno democrazia, meno pluralismo e soprattutto meno valorizzazione delle risorse interne. Mai, infatti, nella storia della tivù pubblica si è vista una conduzione tanto monarchica quanto quella di Campo Dall’Orto. Sia chiaro, che tutto nasca dall’ultima legge di riforma della tivù di Stato è evidente, perché rispecchia fedelmente il desiderio di Renzi sull’appropriazione assoluta dell’azienda pubblica.
Dunque, il direttore generale nulla fa se non eseguire ed esaudire le aspettative del Premier, che tanto voleva e tanto sta ottenendo. Quello che stupisce è il silenzio assordante che circonda il comportamento e le scelte che, Cda dopo Cda, vengono fatte su nomine e incarichi. Se escludiamo, infatti, la netta contrarietà di una parte ampiamente minoritaria dei consiglieri, tutto il resto sostanzialmente tace di fronte all’invasione di incarichi esterni per posizioni apicali e onerose.
Da più parti leggiamo che i professionisti ingaggiati, seppure presi da fuori, sono seri e titolati e dunque indiscutibili e già qui nasce la prima inaccettabile singolarità. Giustificare, infatti, l’assunzione a costi oltretutto a dir poco notevoli solo con la professionalità accertata dei nomi graditi a Campo Dall’Orto, equivarrebbe a dire che nell’enorme novero di professionisti interni non ne esista nessuno con altrettanta qualificazione.
Se così fosse, ci troveremmo di fronte a una situazione che, da sola, basterebbe a spingere la Corte dei conti a una indagine accuratissima, sul come mai allora, tanti dirigenti si siano ritrovati in certe posizioni all’interno della Rai. Non va dimenticato, infatti, che la Rai funziona con denaro pubblico, che per essere speso deve avere tutte le certificazioni possibili di garanzia e trasparenza. Qui, per quello che vediamo, non si tratta della scelta di due o tre super professionisti esterni, unici per titoli e specializzazioni, per cui il loro inserimento potrebbe starci ed essere per questo considerato conseguente. Siamo, al contrario, innanzi a un vero e proprio cambio di guardia di tutta una grande e intera catena di comando e francamente la cosa non può essere considerata né normale né conseguente. Anche perché si capisce bene che se ogni nuovo direttore generale, in forza dei nuovi poteri assegnati dalla legge sulla Rai, facesse altrettanto, nel giro di qualche anno ci ritroveremmo con un esercito supplementare di altissimi dirigenti a bilancio.
Dunque, poteri o no, riforma o no, qualcuno sarebbe giusto che intervenisse sia per porre un freno e sia per chiedere conto, fino in fondo, di quanto tutto ciò sia non solo necessario, ma assolutamente indispensabile. Ci riferiamo ovviamente a tutti quelli, a partire dai sindacati, che possono e devono sollevare con forza il problema, per ottenere tutta la chiarezza che questa situazione merita. Non si tratta, infatti, di fare qualche scaramuccia di contrarietà, ma di rendere accettabile al di là di ogni ragionevole dubbio, ai cittadini che pagano, le ragioni di tali scelte sulle nomine.
Inutile dire che se tanto fosse accaduto ai tempi di Silvio Berlusconi, la tivù pubblica si sarebbe già fermata con un blocco sindacale di protesta, i caroselli avrebbero per settimane fermato il traffico di viale Mazzini, il Parlamento sarebbe diventato un teatro di hooligans contro il Cavaliere. Dunque, il silenzio, al quale assistiamo ora, non solo ci preoccupa, ma ci conferma che con il Governo Renzi il livello di democrazia è in pericolosa discesa e in rischioso deterioramento. Però nonostante ciò, rimediare è ancora possibile, basta volerlo, anzi, a questo punto pretenderlo e rapidamente, altrimenti, anche in questo caso, varrebbe la saggezza dei proverbi: “Chi si fa pecora il lupo se lo mangia”.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:53