Un aforisma, un commento

“Anche in Italia chi si dichiara di sinistra spesso si autodefinisce ‘progressista’. Non è però chiaro perché, di fatto, le sinistre si oppongano costantemente a qualsiasi innovazione, in particolare quando si tratta di questioni scientifiche o tecnologiche. Salvo poi approfittarne disinvoltamente e a piene mani quando l’innovazione ha successo”.

Nonostante l’appellativo “progressista” sia nato nella cultura politica americana del XIX secolo per designare le idee di chi sosteneva l’opportunità di avviare riforme graduali (progressive, appunto) piuttosto che rivoluzioni, in Italia persino affermati intellettuali usano il termine per indicare chi tiene al progresso, contrapponendosi così ai conservatori. Tuttavia, tenendo conto di questa deformazione, il progressismo italiano presenta posizioni decisamente contraddittorie. Bastino pochi esempi.

Cinquant’anni fa le sinistre si opponevano alla costruzione delle autostrade perché, secondo loro, erano “un favore agli Agnelli”; negli anni Sessanta Ugo La Malfa, segretario di un partito il cui slogan era “le idee chiare della sinistra”, si opponeva all’introduzione della televisione a colori; poi i progressisti si opposero alla libera concorrenza fra la Rai e le nascenti emittenti radiotelevisive private; in seguito se la sono presa con i campi elettromagnetici delle antenne radio e delle linee elettriche; ovviamente si sono opposti alla costruzione di centrali nucleari; detestano l’alta velocità ferroviaria; non sopportano le trivelle dalle quali può sgorgare un po’ di petrolio non importato e vengono colti da orticaria se solo si parla di un ponte che unisca la Sicilia al resto dell’Italia.

Per fortuna, la forza delle cose ha quasi sempre avuto il sopravvento mentre, se le sinistre avessero vinto, oggi, per visitare l’Italia in automobile dovremmo avere la pazienza e il coraggio di Marco Polo; vedremmo in bianco e nero i servizi geografici della BBC e tanti bei film; dovremmo sorbirci i soli telegiornali di Stato; avremmo a disposizione meno energia e meno mezzi di comunicazione; viaggeremmo da mattina a tarda sera per arrivare da Roma a Milano. Certamente potremmo però continuare ad acquistare petrolio ed energia elettrica prodotti dai Paesi produttori e dalle centrali nucleari francesi, così come dovremmo collegarci quasi clandestinamente con emittenti straniere per sentire l’opinione di chi, in Italia, non gode della giusta entratura nelle reti radiotelevisive di Stato.

Insomma, il progresso al contrario. In una sola circostanza i progressisti più impegnati furono orgogliosi della tecnologia e fu quando, nel 1957, i sovietici lanciarono in orbita il primo satellite artificiale. Ma, subito dopo, quando a farlo iniziarono con ben maggiore spettacolarità gli americani, gli uomini di sinistra ripresero la loro tradizionale posizione contraria, sostenendo che era scandaloso spendere tanti soldi per andare nello spazio a fronte dei tanti problemi che vi erano sulla Terra. Salvo che nell’Urss, evidentemente. Il fatto è che, al di là di una generica e per certi versi apprezzabile perorazione di una maggiore giustizia sociale, il progressismo nostrano si è sempre manifestato come il più genuino dei conservatorismi, incapace, su molti piani, di vedere un palmo al di là del proprio naso.

 

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:21