
Il “long goodbye” di Marco Pannella assomiglia nelle atmosfere nostalgiche a quello dell’omonimo film di Robert Altman tratto dal libro di Raymond Chandler. L’atmosfera cupa la presta la politica italiana, che adesso scopre l’acqua calda delle idee radicali come la trasparenza in politica e lo stato di diritto, all’uopo trasformate in caricature grottesche. Cioè isterismo giustizialista e legalitarismo del tipo di quello esternato dalla Commissione antimafia che recentemente ha assunto nelle elezioni il ruolo che in Iran è svolto dagli ayatollah che vagliano la moralità dei candidati. Il tutto incarnato nelle posizioni estremiste dei grillini e della sinistra Pd. La vera e genuina eredità radicale, però, è tutta da scoprire e inventariare.
Nel frattempo la galassia pannelliana si è spaccata in due: quelli che badano al sodo, incoraggiati da Emma Bonino, e si avviano a fare partiti satellite del Partito Democratico, sul tipo dei socialisti di Nencini. E quelli fedeli al mantra che in Italia non ci sono le condizioni per presentarsi ad alcuna elezione visto che siamo un Paese condannato dall’Europa per tutto: dalle carceri alle leggi sull’aborto, minata dall’obiezione di coscienza di comodo o di routine, dalla fecondazione assistita al fine vita, passando per i non diritti alle coppie di fatto.
I primi, avvalendosi dello strumento Radicali italiani, si sono presentati alle amministrative a Roma ed a Milano in liste di appoggio ai candidati del Pd, i secondi hanno scritto una lettera quasi di “scomunica” pubblicata una paio di settimane orsono da “L’Opinione” (e anche dall’Unità). In mezzo gli attendisti che faticano a capire queste divisioni. Chi scrive è molto più incline ad una successione radicale nel nome e nella continuità pannelliana che, Dio ci guardi e liberi, a una nel nome di Emma Bonino. Oramai indirizzata a fare da pivot radicale delle fondazioni come quella di Massimo D’Alema o di Enrico Letta. Parafrasando Fidel Castro, che quando si parla di sinistra ci sta sempre bene, “no los queremos, no los necesitamos”.
Resta il problema di fare rientrare nella politica attiva le idee di Pannella, che in realtà non ne sono mai uscite, facendole camminare sulle gambe di liberali veri e non su quelle di descamisados grillini o di opportunisti vari. Partire dal macrocosmo per arrivare al micro, l’esatto contrario di quanto insegnava Ernst Cassirer quando parlava dell’umanesimo, si è rivelato velleitario. Le giurisdizioni e le istituzioni transnazionali, a cominciare dall’Onu per finire ai vari tribunali internazionali dell’Aja o ad hoc per le tante guerre etniche e religiose della fine del secolo scorso e dell’inizio del millennio attuale, si sono rivelate perdenti. Sono fatte di uomini e intrise di quella stessa abominevole ragion di Stato che Pannella vorrebbe combattere contrapponendo lo stato di diritto e dei diritti. Che però si fatica a definire in maniera soddisfacente per tutti ed a tutte le latitudini.
Si manifesta per la verità sull’orrenda morte di Giulio Regeni, ad esempio, ma non si può dire nulla, e poco si è detto da parte dei governi italiani, per l’omicidio politico del corrispondente di Radio Radicale Antonio Russo a Tbilisi il 16 ottobre del 2000. Viene anche in mente che si possa fare la voce grossa solo con i Paesi in difficoltà economiche e che dipendano dai soldi italiani ed europei più di quanto l’Italia stessa e l’Europa non dipendano dalle loro commesse militari o energetiche, vedi il caso Iran.
Senza un reset il mantra pannelliano dello “stato di diritto contro la ragione di stato” e la mitica “transizione” dal secondo al primo rischia di restare tale. O di diventare una “supercazzola” da dibattiti in tivù a orari di seconda fascia. E la conseguenza, ancora più nefasta, potrebbe essere quella di lasciare tutta una galassia in balìa della politica della Bonino, sempre più contigua e fiancheggiatrice di quella della peggior sinistra europea. Dialogo con i Fratelli Musulmani compreso.
L’appello ai “radicali di terra, di aria e di mare” è quindi quello di cercare per tempo una nuova via per gestire l’immensa eredità politica e umana di un gigante del pensiero di questo e del precedente millennio come continua ad essere Marco Pannella. Un “monumento nazionale vivente” (altro che senatore a vita ora che il Senato sta per essere abolito) come i professori universitari descritti da Akira Kurosawa nel suo ultimo, indimenticabile film: “Madadayo”.
@buffadimitri
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:58