Illusione referendaria

Contribuzione sindacale automatica ai lavoratori, rappresentatività per i contratti del pubblico impiego, privatizzazione Rai, finanziamento pubblico ai partiti, responsabilità civile dei magistrati, legge elettorale maggioritaria, acqua pubblica.

Sono solo alcuni dei quesiti referendari disattesi negli ultimi anni da un sistema politico che ti fa votare e poi se ne frega del risultato. Adesso pretenderebbero che il cittadino, apponendo una crocetta su un quesito referendario per giunta non di ampio spettro, determinasse la strategia energetica nazionale laddove la politica non è stata in grado di concertare una soluzione.

Lo chiamano referendum “no triv” ma in molti ancora ignorano che, lungi dall’occuparsi di trivellazioni, il quesito pone una domanda molto più banale: per quanto tempo devono poter estrarre petrolio le compagnie che operano entro le 12 miglia dalla costa? Fino alla scadenza della concessione oppure fino all'esaurimento naturale del giacimento? Vien voglia di andare al mare, ma già sappiamo che qualche ambientalista con l’attitudine al catastrofismo ci dirà che, non andando a votare, ci assumeremo la responsabilità di lasciare che multinazionali senza scrupoli inquinino il nostro tesoro paesaggistico precludendoci le future nuotate. Niente di più falso, visto che il quesito referendario parla di sfruttamento dei giacimenti già trivellati e visto che la stragrande maggioranza di essi (esclusa Tempa Rossa) contiene in prevalenza gas (importato generalmente tramite metanodotti ) e non petrolio (che alimenta il traffico navale).

Ma poi, cosa ci guadagnerebbe l’ambiente se si inibisse la possibilità di estrarre il combustibile oltre la scadenza della concessione? L’impianto è già posto in opera, il buco è già stato fatto quindi di cosa stiamo parlando. Con ciò intendiamo avvalorare le tesi industrialiste? Ma per carità, stiamo parlando dell’estrazione di quantità di combustibile che si aggirano intorno al 3 per cento del fabbisogno nazionale con royalty che nemmeno nel Terzo Mondo sono così basse e con dei costi di estrazione che, stante il basso prezzo del petrolio, ne rendono quasi sconveniente la lavorazione. Poi, al netto delle partecipazioni azionarie che lo Stato detiene in alcune compagnie petrolifere, delle succitate ridicole royalty e delle eventuali imposte che le aziende pagano in Italia, il frutto dell’estrazione non è dello Stato ma delle multinazionali che lo estraggono.

Chi crede di tutelare l’ambiente per fare del Meridione un immenso villaggio turistico facendo diventare i ragazzi del sud tutti camerieri è un illuso tanto quanto chi immagina futuri industriali basati sul petrolio, sull’industria pesante e su logiche novecentesche. La strategia energetica del Paese - così come il rilancio del sud - necessitano di programmazione e di investimenti ed è quindi dovere della classe dirigente assumersi le responsabilità delle scelte di politica economica. L’alternativa è quella di replicare la barzelletta nucleare: ci siamo affidati al popolo, la suggestione ambientalista ci ha indotto a rinunciare alla produzione, ma in compenso compriamo energia atomica da chi la produce al nostro confine. Questo perché una classe dirigente di incapaci pensa di poter affidare alla pancia del Paese delle scelte che, per delicatezza, avrebbero bisogno del contributo di chi è pagato per decidere e studiarsi i dossier. E non saremo certo noi andando al mare piuttosto che recandoci “civilmente” a votare un quesito talmente cretino a risollevare le sorti di una nazione assetata non di petrolio, non di partecipazione ma di statisti.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:43