
Quando la sinistra francese arrivò alle lacrime con la costituzione di De Gaulle, si vide che, tuttavia, la Repubblica ottenne maggiore stabilità, benché rimanesse sempre una Repubblica.
La Repubblica d’Oltralpe, tuttavia, aveva dei contrappesi che quella italiana non ha (coabitazione docet); l’assenza di questi contrappesi annulla l’obiezione più sfruttata, in sostegno a questa riforma, sulla velocità e sburocratizzazione permessa dalla fine del bicameralismo perfetto, che accompagna l'Italia repubblicana fin dalla sua nascita, sancito dal nuovo articolo. Ma il Senato potrà decidere, su richiesta di un terzo dei senatori, di proporre modifiche su una legge approvata dalla Camera. In realtà, quindi, erediteremo, nella nostra nuova “Costituzione semplificata”, ben 12 possibilità che la palla rimbalzi da Camera e Senato, contro le due previste dalla Costituzione del 1948.
Quello che avremo in più, inoltre, saranno sindaci e consiglieri regionali che, andando in trasferta, avranno l’immunità parlamentare. Peraltro, non eletti dai cittadini. E chi avrà l’immunità? E perché? Non è per pensar male, ma noi viviamo in un ambiente che è quello italiano, in cui i rappresentanti istituzionali han frodato ripetutamente, per decenni, in tutti i modi possibili e immaginabili e che ora potrebbero andare a far parte della “Camera Alta”. Per mutuare Andreotti: “A pensar male si fa peccato ma…”.
La cosa che però salta subito all’occhio, anche del più inesperto e sbadato costituzionalista del venerdì sera, è che la nuova Costituzione, al contrario della precedente, quella scritta da Aldo Moro, Luigi Einaudi, Amintore Fanfani, Benedetto Croce, Nilde Iotti, Ugo La Malfa, Giorgio La Pira, Paolo De Michelis, Ugo Della Seta, Giancarlo Matteotti, Giovanni Leone, Alcide De Gasperi, Arturo Labriola… esprime articoli che erano presentati in 6 parole in ben due pagine. La magia della “semplificazione”. Parliamo di gente, i padri fondatori, che hanno combattuto i nazisti sulle montagne, che hanno fatto la resistenza, che si sono laureati ed hanno insegnato all’università quando queste erano qualcosa di sano, di bello e di buono.
Una riforma costituzionale come quella proposta, fondata su questa legge elettorale, promossa da questi partiti, in un momento così delicato come il nostro, è il frutto, indubbiamente, di un passaggio storico importantissimo. Sarebbe sciocco criticarla tout court anziché ragionarci pacatamente e senza preconcetti di sorta. Ma è altrettanto sciocco pretendere da ognuno di noi la più completa acquiescenza sulla perfezione di questa riforma costituzionale, trattandola come un “dogma” necessario, quando gli stessi firmatari, proponendola, hanno dubitato del “dogma storico” della prima.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:53