
Matteo Renzi, per punizione di Dio e senza la volontà della Nazione, presidente del Consiglio della Repubblica, non avrebbe potuto invitare gli italiani a non votare al referendum del 17 aprile. È una questione di correttezza costituzionale e di osservanza dello spirito della separazione dei poteri. Cose tutte che pretendere che un Renzi abbia la capacità di tenere in conto è come pretendere che un elefante si muova con grazia in un negozio di cristalleria.
Detto questo, io, che non sono il presidente del Consiglio e che del parere giuridico- politico di Renzi ne diffido, prima ancora di dissentirne, dichiaro tuttavia che non andrò a votare. Sono convinto che una questione come quella dei termini di durata di concessioni amministrative, benché regolata per legge, non posso correttamente e non debba essere oggetto di referendum. Inoltre credo che una questione, un dilemma da sottoporre al voto popolare non possa crearsi e proporsi al Paese con la stessa richiesta di referendum che dovrebbe dirimerla. È questo un modo per togliere credibilità a questo istituto di democrazia diretta. Il Partito Radicale (e, quindi, per quanto di ragione, io stesso che ne feci parti fin quasi al suo effettivo scioglimento) ebbe la responsabilità, con i “grappoli” di referendum richiesti e, poi abbandonati a se stessi, con la comoda formula pannelliana “che, una volta ammessi, dovessero camminare sulle loro gambe” senza la promozione, da parte dei richiedenti, di un adeguato dibattito, ha, di fatto, sputtanato l’istituto del referendum abrogativo.
Ma questa volta questo ennesimo referendum decisamente “a vanvera” (io sono, tuttavia, tendenzialmente contrario allo sfruttamento, comunque, di magri e costosi giacimenti in un mare già minacciato di morte delle sue acque quale il Mediterraneo) minaccia di fare danni enormi d’altro genere. C’è oramai in vista, il referendum, di diversa natura, sulla cosiddetta riforma costituzionale, che rischia di essere coinvolto nel prevedibile flop di quello sulle trivelle. Il referendum costituzionale non è un referendum abrogativo della riforma votata dal Parlamento. È un referendum confermativo. Chi vuole lo scempio della Costituzione voterà sì, chi lo respinge voterà no. C’è il rischio della confusione e della estensione del fastidio che oramai (ed ancor più il 18 aprile!) provoca la stessa parola referendum, anche a questo, diverso ed essenziale referendum.
Questo ulteriore chiarimento da fornire alla gente dovrebbe imporre ai partiti (o sedicente tali) che sono per il no a muoversi subito, per evitare che la confusione si radichi e che il fastidio diventi impermeabile alla ragione ed alle ragioni. Amici, se si è veramente contro la svolta autoritaria, antidemocratica, etrusca, renziana, muovetevi subito! Non c’è un giorno da perdere.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:01