L’Italicum e la “Ditta”

Le regole sul sistema elettorale non entrano nei testi delle costituzioni perché devono poter cambiare, in ogni tempo, per essere in sintonia con il cambiamento della società. Al di là della Gran Bretagna, che considera il maggioritario uninominale quasi un feticcio, non esistono regole valide in assoluto. Il maggioritario è consigliabile per le società omogenee, come consiglia Arend Lijphart, il proporzionale (consensuale, come lo chiama lui) si adatta meglio alle società plurali.

Con la fine del comunismo, anche l’Italia ha iniziato a modellare il proprio sistema politico sul modello Westminster, sul presupposto che, dopo il 1989, le ragioni maggiormente divisive della società italiana, fossero definitivamente tramontate. Con il sistema uninominale (Mattarellum 1993) e l’introduzione del premio di maggioranza (Porcellum 2005) si è voluto restituire lo “scettro al principe”, cioè al popolo, nell’intento di farne il principale artefice della formazione delle maggioranze parlamentari e del governo. Il sistema ha funzionato a metà. Il corpo elettorale ha acquistato il potere d’investire i Governi, ma il Parlamento ne è rimasto padrone, perché, se nel corso della legislatura si forma una maggioranza diversa da quella sanzionata dalle elezioni, il Parlamento non può essere sciolto.

Così stando le cose, è naturale che Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, durante la stagione del Nazareno, abbiano pensato di rafforzare il sistema proporzionale, nel senso della stabilizzazione del bipartitismo, con l’introduzione del premio di maggioranza al partito vincente, sul presupposto dell’avvenuta reciproca legittimazione. L’idea in sé, pur se “distorsiva” già al tempo della sua ideazione (nonostante le raccomandazioni della Corte), a causa dell’introduzione di effetti eccessivamente premianti, oggi appare esageratamente distorsiva, di fronte al radicale cambiamento del sistema dei partiti, per effetto del radicamento del Movimento Cinque Stelle e della coagulazione di un consistente consenso elettorale sul partito della Lega a trazione lepenista.

Su queste basi, l’iniziale bipolarismo-bipartitismo, disegnato sullo schema centrodestra/centrosinistra, si è evoluto in un sistema tripolare che, se continuano le contrapposizioni sul fronte destro, può diventare quadripolare, a causa dei forti caratteri identitari dei due nuovi partiti. Rebus sic stantibus, stando alle rilevazioni sondaggistiche odierne (secondo cui il Pd conseguirebbe un consenso attorno al 33 per cento, M5S 25 per cento, Lega 14,2 per cento, FI 12,5 per cento, FdI 4 per cento, SI 4%, Ncd Udc 2,5%), si profila l’eventualità che l’Italicum possa attribuire a un partito che ottiene meno del 40 per cento dei consensi, una maggioranza pari al 55% dei seggi (340), dove tutti i restanti partiti si dovranno proporzionalmente distribuire 290 (277) seggi, pur sommando al primo turno una percentuale di voti superiore al 61 per cento dei consensi. Siamo sicuri che un esito elettorale “distorsivo” di queste proporzioni possa garantire la stabilità tanto agognata? Si dice che al primo turno andrebbe a votare il 60 per cento degli italiani, percentuale che, nel caso del secondo turno, scenderebbe al 40 per cento. La lista vincente, quindi, potrebbe essere chiamata a governare con un consenso pari al 20 per cento circa del corpo elettorale.

L’argomento non è decisivo ovviamente, perché questa è la normale fisiologia dei sistemi maggioritari. Ma, se caliamo il discorso nella realtà concreta, dove il partito più votato al primo turno pare essere il Partito Democratico, c’è un’altra considerazione da fare. Se il Pd si aggiudicasse il premio di maggioranza al primo, oppure solo al secondo turno, gli interessi non rappresentati al suo interno tenderanno comunque a farsi rappresentare nella maggioranza di governo (Miglio), riproducendo all’interno di quel partito le divisioni che altrimenti si sarebbero collocate al suo esterno. Con buona pace della stabilità.

C’è di più. Le divisioni dentro il partito Democratico sono tanto evidenti che, tra i sostenitori della modifica dell’Italicum, c’è anche la sinistra-dem. Se alla “ditta” non verrà riconosciuta un’adeguata rappresentanza nella formazione delle liste, è altamente probabile che questo spazio sarà conquistato di fatto nell’ambito della quotidiana battaglia parlamentare. Renzi sa perfettamente che i conti con la “ditta” deve comunque farli, in fase pre, oppure post elettorale. Con quali conseguenze per la stabilità complessiva del sistema? Non gli conviene allargare la maggioranza, modificando le regole per l’attribuzione del premio di maggioranza alla coalizione? Così facendo si apriranno per lui, o a chi per lui, maggiori margini di consenso parlamentare, si allenteranno gli effetti distorsivi, a tutto vantaggio della stabilità complessiva e della governabilità dell’Italia.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:56