
Peggiore attore non protagonista. Ovvero: vorrei ma proprio non posso. Il giornalista oggi (e il giornalismo in genere) è ridotto a questo. Un ruolo di comparsa caratterizzato da subalternità ideologica e mentale alla magistratura e a qualche cosiddetto potere forte. Un impiegatucolo di aziende malsane con un direttore che è più un maggiordomo, a sua volta, che un capo ufficio da film di Fantozzi.
Il maggiore quotidiano, il “Corriere della Sera”, ormai ostaggio, se non pegno, delle banche che lo tengono in piedi, Unicredit, Intesa e Mps, dopo che la Fiat si è sfilata. E l’altro grande polo, “La Stampa” e “la Repubblica” che, avendo scelto questa fusione a freddo, è impegnato a studiare un sistema di sopravvivenza a spese dell’occupazione di decine di colleghi. Il tutto nel desolante quadro umano di un sindacato come la Fnsi che definire servile è quasi un complimento, visto che quasi tutti gli ultimi dirigenti lo hanno usato come trampolino per carriere folgoranti all’ombra della politica e del governo. O del sottobosco di governo.
Ma se queste sono condizioni oggettive, di asfissia dell’attuale mercato, quali sono invece quelle soggettive? Il giornalista in Italia oggi come oggi è definibile con un epiteto non molto simpatico: “Lo stronzetto”. Il corifeo della disonestà intellettuale issata a vessillo. E indossata come divisa. Il saccente presenzialista e protagonista in tivù in dibattiti risibili e in talk- show che ormai vengono parodiati persino da Maurizio Crozza, che tutto sommato è sì un bravo comico, ma senz’altro di regime. Non avendo più tante notizie esclusive e basando tutta la propria “professionalità” sul diligente copiare le notizie altrui su Internet, oggi il giornalista è dilaniato da questo dilemma: “Divento io la notizia oppure rubo e commento quella degli altri?”. Inutile poi parlare di deontologia, quando le più grandi inchieste di tutti i giornali esteri spesso si basano su furti di dati sensibili, da WikiLeaks in poi, fino alle recenti Panama Papers, tutti possono constatare.
In questo bailamme, come stupirsi se oggi la maggior parte dei giornalisti italiani sono in forza alla disoccupazione, al precariato e al “tira a campare”? Aboliti o quasi i finanziamenti pubblici a causa di una demagogica campagna anti-casta, aiutata oggettivamente dalla disonestà di non pochi amministratori di giornali di partito e non, cosa è rimasto?
Un lumpenproletariat pronto a sottostare alle regole dell’equo compenso cogitate da un genio del sindacalismo giornalistico nostrano. Magari per lo zelo con cui ha tenuto buona un’intera categoria che si divide in privilegiati a scadenza e in sfigati a tempo indeterminato. Categoria, quest’ultima, cui mi pregio di appartenere. Consolandomi con l’aglietto.
Ecco, è questo il senso del mini happening che domani verrà officiato dal sottoscritto insieme all’amico Giuseppe Mele. Il declino e la rovina di una categoria che si era illusa con Tangentopoli (e il post di tale periodo) di avere un ruolo. Magari quello di aiutare, nientemeno, i magistrati a cambiare l’Italia. E come è finita? Che non è cambiato un bel niente, che non comanda più nessuno e che imperversano in tivù, nei libri e nei convegni una pletora di moralisti senza moralità. Mentre in politica il futuro è ormai di demagoghi che tengono insieme un universo composito che comprende i 5 Stelle, la sinistra Pd e la destra salviniana ma che ha addentellati robusti nel governo attuale, come in quelli precedenti, e ovviamente nella magistratura. Un’umanità che ha espresso il “meglio” di sé nel parto, prima ideologico e mediatico e poi fattuale, di nuove leggi assurde come quella sull’omicidio stradale, tanto per fare un esempio. E i giornalisti, invece di rappresentare quelle persone ragionevoli che potevano costituire un coro rossiniano di pernacchie a questo tipo di iniziative, sono corsi dietro alla rinfusa a chi la sparava più grossa. E se i magistrati che volevano cambiare l’Italia e il mondo, e che poi hanno preferito virare sul buttarsi in politica, almeno lo stipendio molto elevato che hanno sempre avuto continuano a conservarlo, i giornalisti, peggiori attori non protagonisti, continuano ad essere tutti una massa di diseredati. Con alcune mosche cocchiere che si consolano pontificando in trasmissioni che ormai non guarda quasi più nessuno.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:00