
Il disegno politico di “apertura a sinistra” da parte della Democrazia Cristiana, già presente nella mente di una parte di essa dai primi anni Cinquanta, giunge a compimento nel dicembre del 1963 con la formazione del primo Governo di centrosinistra organico presieduto da Aldo Moro, precorsa dalla sanzione della linea aperturista nel suo VII Congresso a Napoli nel gennaio-febbraio del 1962, a cui fieramente si oppose non soltanto il segretario liberale Giovanni Malagodi ma anche esponenti dello stesso partito cattolico, Gianni Baget Bozzo in primis, e a cui si sarebbe opposto anche Luigi Sturzo, se non fosse morto nel 1959.
Da qui l’avvio della interpenetrazione del partito con lo Stato, la trasformazione del partito dei cattolici in partito dello Stato, ma non nel senso degasperiano di difesa delle istituzioni, bensì di partito dell’amministrazione pubblica e dell’economia pubblica, in cui il clientelismo diventa manageriale, il punto di riferimento aggregante di clientele legate al partito da un solidissimo intreccio di interessi, protezioni, favori, dispensati in nome di un’appartenenza capace di perpetuarsi negli anni.
L’inizio, pertanto, di una mutazione in una macchina- partito solo rispondente ad autonome ragioni politiche di potere e di sopravvivenza, l’origine di una fatale, tragica traiettoria di auto-delegittimazione della stessa ragione storica, ormai in via di consumazione, del partito cattolico, culminata poi nel mortifero abbraccio, nel 2007, con i postcomunisti diessini.
Era cominciata così “l’angoscia mortale” della nuova, fragile Italia “democratica”, che voleva definitivamente dimenticare il suo Impero coloniale, il fascismo e le sue avventure, troppo ingombranti per la nuova classe politica, ma che si serviva ora di carismatici narcisisti da palcoscenico, di esteti affetti da cecità ideologica, trasformati da testimoni credibili in partigiani, propagandisti e, talvolta, sicari.
È proprio il caso del “falso carisma” lapiriano: quel Giorgio La Pira stregato da Chruscev, che rappresenta la punta avanzata del “progressismo” cattolico, che crede di andare verso la storia nella stessa direzione del comunismo, illudendosi di cooperare con esso sotto il segno di Isaia. Il La Pira statalista, quello contestato dallo stesso Sturzo, che crede che il problema da risolvere sia quello di arrivare alla totalità del sistema finanziario in mano allo Stato e che l’economia moderna sia essenzialmente di intervento statale, il La Pira che fa uso di un linguaggio biblico, mistico e teoretico, indebito e trasbordante. Il La Pira che a Firenze pone in atto il primo esempio, nell’Italia del XX secolo, di tecnica mistica del potere, cioè quella che falsamente fa intervenire una visione, una energia divina come scaturigine del potere politico, che sovrasta la stessa ragione: ma proprio una mistica panteista aveva costituito la base del Nazismo, dell’Herrenvolk!
Il krusciovismo diventa così il comunismo che si integra nei tempi messianici, la prima forza storica illuminata, quella che La Pira colloca per prima nella gerarchia della intelligenza politica. Firenze è così l’Herrenvolk della visione lapiriana, la nuova Gerusalemme, rivelatrice ai popoli del disegno divino di pace e di prosperità. Quella Gerusalemme che ieri ha generato il Fanfani della politica estera pro nasseriana e kruscioviana ed oggi, sul filo della continuità ideologica e teoretica, il lapiriano epigono Matteo Renzi, che, chiamatosi alla suprema carica, mostra un temperamento spiccato, impensato, di pastore-predicatore protestante, che usa mezzi molto umani di fascinazione per giustificare l’esercizio del “suo” potere. Sua la visione statalista e dirigista, sua l’intellighenzia progressista, azionista, giacobina o illuminista, sua l’immoralità del machiavellismo come tecnologia di dominio, sua l’attuazione del “sovrano collettivo”, del “tutti noi”, sua la strisciante “bolscevizzazione” dell’apparato statale e della società, sua l’idea del “suo” Pd come partito (unico!) della nazione, sua la visione dell’Italia come braccio secolare di Firenze, cioè quel Paese che, ora come allora, contenendo in sé la città mistica, la città che sposa sia la bellezza umana che quella divina, deve essere come il banditore e l’esecutore del messaggio della nuova Gerusalemme!
È la mancanza di reticenza che a noi, non rassegnati, iconoclasti ideologi, ci fa estremizzare la polemica forse ben al di là della parte di verità che il nostro dire riesce spesso a cogliere. Ma è quella parte di verità che va pur detta, anche a costo dell’esilio “nel deserto”! Chissà che, proprio in virtù di essa, un giorno, forse, contempleremo idealmente dalle alture circostanti, con mortificata pietà, la nuova Hierusalem che, “percorsa dal riflesso abbagliante del sole nelle nuvole bianche, apparirà di un livido candore di gesso”!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:00