Terrorismo inhouse

Un terrorismo che viene da fuori o comunque è figlio di altre etnie, di appartenenti all’antropologia di altri popoli, di gente di altra nazionalità, un terrorismo che genera adepti tra i vicini di casa, che porta morte e fa proseliti.

Gli attori istituzionali dell’immane tragedia annunciano solo la conta dei morti e feriti, accompagnano le bare nel tratto di strada che separa dal cimitero della città di appartenenza dei caduti vissuti nei Paesi della democrazia. Poi parole, tante inutili parole per convincere a convivere con la morte, convinti che alla fine la vittoria sul terrorismo trionferà, perché abbiamo la democrazia, lo Stato di diritto. Se pure fosse vera questa ipotesi, la vittoria avrà il peso di un lungo fiume di sangue innocente, della disperazione di coloro che per caso sono rimasti in vita. Non si avvedono che il terrore e la tortura sono di casa.

Ogni due giorni muore una donna bruciata viva con la figlia in grembo, ogni giorno muoiono due o tre operai, ogni giorno sulle strade si registra il decesso di intere famiglie, gruppi di giovani che tornano a casa dopo un serata allegra, per non elencare le statistiche dei mutilati e degli invalidi, ogni giorno i nostri bambini soffrono la fame e la sete, la sottoalimentazione, privazioni ed abusi, ogni giorno nei tribunali italiani i richiedenti giustizia subiscono il decesso dei diritti e la tortura per non accettare l’affronto della loro innocenza, ogni giorno i cittadini e i residenti in Italia subiscono il degrado delle condizioni di vita, il ritorno agli anni del dopo guerra, sopportano il disagio dell’inettitudine e dell’inefficienza.

L’unica risposta da parte di quelli che contano è di non strumentalizzare le morti per poi fare l’esatto contrario. Quelle poche volte che ti rivolgi a loro per porre un grave problema che ti affligge, di torture subite, di ingiuste prevaricazioni o di dolorose ingiustizie rispondono che non sono competenti. La competenza è il salvacondotto per l’inerzia, per la deresponsabilizzazione e per l’inettitudine, la plastica rappresentazione del film “Detenuto in attesa di giudizio” o del “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. E se alla fine del lungo labirinto della competenza ti trovi davanti al giudice, l’ultima istanza d’inascoltate richieste, sovente la morte civile è certa. È il magistrato che decide, a lui l’ultima parola.

La tortura assume le vesti della legalità. Siate sereni, le sentenze non si commentano, si rispettano. Meglio il silenzio. La giustizia deve fare il suo corso e il dominio dei “sultani” diventa sempre più forte, più potente; chi contrasta, chi protesta contro la “casta” viene indagato per vilipendio e finisce nel tritacarne, ma state allegri, molti moriranno e molti saranno torturati dalle decisioni di infedeli servitori dello Stato, ma abbiamo la democrazia difesa ed assicurata dai signori che siedono in Parlamento ed alla fine vinceremo, porteremo il paradiso in terra.

Lei con il suo bambino si è trovata davanti al giudice che non aveva invocato, sperando di essere protetta e di avere giustizia per le torture subite e per il pericolo all’incolumità che madre e figlio hanno patito, continuando ad avere timore. Una vita cambiata dal terrorista che ha tentato di ucciderli, come avviene quasi tutti i giorni. Sono scampati alla morte ed hanno iniziato il lungo viaggio nella vasta dimensione della tortura. Ha bussato alle porte del silenzio istituzionale, chiuse per “non è nostra competenza”. Si è trovata suo malgrado davanti alla competenza del giudice ed ha capito di aver trovato il luogo dell’inferno, di essere profuga con il suo bambino, di non poter neppure avvalersi del diritto di asilo.

Il sultano non ha letto nulla - come di rito - non ha esaminato alcun documento, non ha valutato alcuna ragione; ha minacciato di toglierle il figlio e spedirlo in un lager di Stato, la casa famiglia, la famiglia dell’orrore. L’ha minacciata di un male ingiusto, l’ha costretta a genuflettersi davanti al suo torturatore, l’ha messa agli arresti domiciliari circondata dalle cortigiane del sultano: psicologhe forensi, tutore, curatore speciale, educatore e assistenti sociali, tutte stipendiate dalla Stato con posto fisso e tutte regolarmente donne, dello stesso genere della vittima, e poi le ha imposto di sottoporsi a psicoterapia per abituarsi alla tortura, dovendo pagare con il magro stipendio la terapeuta indicata dal sultano.

Le hanno espropriato la responsabilità genitoriale, non può più essere madre e deve chiedere per ogni agire l’autorizzazione ad una ancella del sultano, pagata dallo Stato. Un provvedimento grave alla dignità della persona, al suo non essere più madre per decreto del sultano e poi condannano il terrorismo che hanno in casa, quando restano impuniti gli esecutori. Il figlio da quattro anni è torturato da psicologhe forensi, titolari di associazioni e cooperative di quel mondo di mezzo dei centri di difesa delle donne e dei bambini, un giro di affari e corruzione che mafia capitale è una bazzecola, dalle assistenti sociali di ruolo fisso pagate dai comuni, tutte al servizio del Sultano che dispone secondo ingiustizia manifesta.

La giustizia esercitata da questi legittimati sultani si abbatte sulle vittime come l’oppio, un oppio malefico che non tiene lontano dal tumulto della vita e che non concede una tregua all’oppressione ed alle torture ingiustamente subite; una conferma della maestosa potenza di forze ineguali, dell’autorità degli abusi, dei carcerieri degli innocenti, secondo la dittatura degli intoccabili, sostenitori della crudeltà degli ignoranti. Forse coloro che da terre vicine causano la morte a genti inermi ed innocenti che portano dentro il male delle ingiustizie subite da quando sono nati e non sanno che coloro che li comandano e manipolano sono il male.

Il silenzio degli innocenti si esaurisce per consunzione ed il giudizio sugli inetti ed i malvagi trova ascolto tra coloro che subiscono la prepotenza e l’oppressione dell’incauto Stato di diritto, della falsa democrazia, dell’inettitudine dei governanti e della demenza delle istituzioni internazionali; che rappresentano gli interessi dei potenti del mondo, delle rapine dei diritti dei diseredati, dei vinti dai reprobi, degli irresponsabili torturatori con licenza e dei lestofanti di regime. Le riforme sono poca cosa di fronte al terrorismo, la pochezza delle istituzioni deve essere cambiata alla radice. Il tempo s’è fatto corto come dice Oriana Fallaci nel libro “Un cappello pieno di ciliegie”.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:05