
Oggi, in Italia, quando ci scappa il morto per un fatto di sangue, nel giro di quarantott’ore tutti sanno tutto su ogni protagonista vero o presunto della tragedia; veniamo informati in tempo reale sui mezzi di comunicazione da giornalisti d’assalto, vedettes televisive più o meno scosciate, seriosi psichiatri che ci spiegano la rava e la fava dall’alto della loro sapienza, avvocati e magistrati smaniosi di pubblicità e persino chiunque, sui social network, abbia qualcosa da dire, non sapendo un accidente e avendone capito ancor meno.
Io, invece, voglio raccontarvi una storia diversa, una storia che ha un inizio, ma non una fine: una storia tristissima che è l’esatta immagine negativa di quelle sopra descritte alle quali siamo tragicamente abituati.
In breve, si tratta di questo: nel 2004, presso il Centro di Salute Mentale di Gudonia, di cui ero Dirigente Responsabile, ebbi in cura una signora circa quarantenne, rumena, di nome Lifu Nela. Viveva a Villa Adriana col marito ed aveva due bambini. Non si trattava di una patologia grave, ma soprattutto di un problema di adattamento nel contesto della sua comunità di appartenenza, dovuto, soprattutto ad un cognato piuttosto appiccicoso con lei. Nela era una donna gradevole, intelligente ed evoluta. Dopo circa tre mesi di colloqui e terapia, la paziente non venne più ed io pensai che stesse meglio. Successivamente venne sul giornale la notizia del cadavere di una donna trovato a Torvajanica, ma dopo l’iniziale interesse, legato soprattutto alle analogie con Wilma Montesi, del caso non si parlò più anche perché la donna, deceduta per soffocamento ed intasamento delle prime vie respiratorie provocato dalla sabbia, non era stata ancora identificata.
Il riconoscimento avvenne alcune settimane dopo e il caso volle che io, mentre ero al lavoro, leggessi sul giornale la notizia proprio nel momento in cui una squadra di poliziotti arrivava al Servizio per parlare con me, essendo stati informati dei precedenti psichiatrici della vittima. Volevano sapere se a mio avviso potesse essersi suicidata. Lo esclusi in modo categorico, anche a causa del forte e sano attaccamento da lei riferito per i suoi bambini. Pochi minuti dopo, in mia presenza, il Commissario Parisi telefonò ad un suo superiore dicendo che le mie informazioni collimavano coi loro sospetti, dato che la macchina del marito, normalmente sporca all’esterno, risultava essere stata accuratamente ripulita all’interno. Mi chiesero poi di recarmi alla Questura Centrale di Roma per verbalizzare la mia testimonianza, cosa che feci quello stesso pomeriggio, venendo anche a sapere che la Procura competente era quella di Velletri e che lì sarei stato prima o poi convocato per la conferma testimoniale delle mie dichiarazioni. Dopo dieci anni, sto ancora aspettando e a nulla, finora, sono valsi i tentativi effettuati anche attraverso intermediari affidabili di mia conoscenza, per sapere che fine abbia fatto il fascicolo. Un mio tentativo di contattare la famiglia della paziente al numero telefonico lasciato al nostro servizio non ebbe esito, essendo stata nel frattempo occupata, la casa, da un’altra famiglia che non sapeva nulla di Nela: l’amico di un vicequestore di mia conoscenza, quando ho citato la Procura di Velletri, si è messo le mani nei capelli in modo molto significativo. Infine, due o tre tentativi attraverso “Chi l’ha visto?” sono completamente falliti in partenza con motivazioni formalmente attendibili, ma comunque significativi di un sostanziale e forse motivato disinteresse: un terzo tentativo, infine, con una lettera inviata direttamente a Giuseppe Rinaldi, giornalista ritenuto serio, è rimasto del tutto privo di riscontro, fosse anche una semplice risposta negativa.
Qualcuno mi ha suggerito di recarmi personalmente alla Procura di Velletri per capire che fine abbia fatto il fascicolo della povera Nela, ma intanto, mi chiedo: con tutte queste abilissime talpe che ci sono in giro, possibile che nessuna di esse si sia mai presa la briga di scartabellare negli archivi per tentare almeno, di capire come e perché un più che probabile omicidio sia finito nel dimenticatoio? Dove sono i Nuzzi, le Sciarelli e le D’Urso sempre pronti ad impugnare la spada della Giustizia a favore delle vittime, soprattutto quando queste sono straniere immigrate e presumibilmente indifese? E per finire, dove sta il CSM che vigila sull’attività della Magistratura e che lo fa talmente bene da aver trasformato le Procure, a forza di omissioni, in autentici colabrodi dove basta piazzare un microfono davanti a chiunque, per sapere qualsiasi cosa, previa garanzia che l’intervista andrà regolarmente in onda nelle ore di maggior ascolto per non turbare lo share? Ma che se si tratta di sollecitare l’inchiesta su una povera crista morta ammazzata, allora fa orecchie da mercante, tanto chi la conosce la povera Lifu Nela?
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:16