Il costo dell’identità dell’Islam radicale

Al di là delle considerazioni avanzate, da più parti, sulle misure da prendere in difesa dei popoli europei, l’inettitudine della polizia belga (chi non ricorda la strage dello stadio Heysel?), la mancanza di cooperazione tra i servizi d’intelligence europei, il legame del terrorismo con alcune forme d’immigrazione, le ripercussioni psicologiche che stanno ricadendo sull’Occidente, i sanguinosi fatti di Bruxelles meritano approfondimento su una questione capitale. Perché tanto sangue indiscriminato, contro cittadini anonimi, indistinti, bersagli di violenza gratuita, scelti per caso?

Lasciamo fuori le “blasfemie” di Charlie Hebdo e le “dissolutezze musicali” dei giovani del Bataclan. Che colpe si possono astrattamente addebitare ai viaggiatori in partenza dall’aeroporto di Zaventem e ai passeggeri in transito dalla stazione del metro di Maelbeek?

Nella risposta a questa domanda lo spartiacque tra i commentatori è sempre lo stesso, tra chi si schiera dalla parte di Samuel Huntington e Oriana Fallaci, sostenendo lo “scontro di civiltà” in atto, e chi invece rifiuta questa lettura, senza spiegare però il fenomeno in modo diverso. In uno studio della Fondazione Agnelli del 1998 (“L’Islam e il dibattito sui diritti dell’uomo”) è riportato il Memorandum del Governo dell’Arabia Saudita del 1970 che, senza mezze misure, ricorda: “Dapprima l’intervento babilonese, poi quello persiano, poi quello greco con Alessandro Magno e, infine, quello romano. Tutti gli interventi successivi in questa importante regione del globo sono stati effettuati ogni volta per conto di una nuova potenza imperialista e grazie all’indebolimento della popolazione araba”. Il passo descrive perfettamente quale è la concezione millenaria che i popoli arabi hanno dell’Occidente. È su questo antico convincimento, espresso e inespresso, che l’Islam politico - non sempre violento ovviamente - si è affermato, e si è trasformato, fino a diventare il simbolo dell’unità politica e morale degli arabi e della loro presunta superiorità.

Si dirà. Tutto questo cosa c’entra con la religione islamica? Qui si annida il grande equivoco, in cui cade chi si limita a considerare l’Islam soltanto come religione. Per molti uomini e donne musulmane, soprattutto se immigrate in Occidente, l’Islam in effetti è semplicemente l’insieme delle regole etiche dettate per il “foro interno”. Tuttavia, per gran parte dei musulmani, la legge islamica è qualcosa di più, perché è la “base di ogni organizzazione istituzionale, di ogni ramo di diritto, di politica, è la comunità, la patria, il mondo, la bussola nei momenti delle scelte tragiche” (A. Predieri). Come tale è un consistente paradigma del confronto tra Oriente ed Occidente.

L’affermazione delle idee laiche e razionaliste dell’Occidente nelle terre dell’Islam ha rischiato, nel secolo scorso, di causare la morte morale dell’Oriente. Oggi, la rottura con l’Occidente rappresenta il punto di partenza di una strategia più vasta che mira alla riconquista dell’identità. Infatti, la diffusione del terrorismo su scala mondiale sta progressivamente dimostrando che il mondo globalizzato non è uniforme. In esso si confrontano due globalismi, radicalmente diversi: quello alienante della libertà del mercato, dei commerci e dei consumi, e quello “avvincente” della comunità salvifica islamica.

Secondo Huntington, “i musulmani temono e odiano il potere dell’Occidente e la minaccia che esso rappresenta per la loro società e la loro fede. Giudicano la cultura occidentale materialista, corrotta, decadente, immorale. In più, la considerano seducente e questo accresce l’urgenza di opporsi al suo influsso”. In questo contesto globale, la riscoperta dell’unicità della comunità dei musulmani, assolve il compito di fronteggiare, con le stesse armi, le aggressioni culturali dell’Occidente. Del resto, nelle terre dell’Islam è diffusissima la convinzione che l’Occidente viva in una condizione di jāhiliyya, in uno status cioè dominato dalle tenebre e dall’ignoranza.

L’Islam contrappone la Terra dell’Islam alla Terra della Guerra. In questa nitida contrapposizione, l’individuazione del nemico è la condizione principale per rafforzare se stesso. La contrapposizione nasce originariamente tra i credenti e i miscredenti. Oggi divide Oriente e Occidente. Allora, ogni avvicinamento al mondo islamico non può peccare d’ingenuità. Soprattutto l’uso della forza non può essere il solo strumento utilizzabile, come sarebbe facile propagandare, perché la “teologia della guerra” attraverso cui s’immagina di costruire la Comunità universale dei musulmani è parte dell’essenza stessa dell’Islam politico e radicale. Su queste basi è bene che la comunità internazionale e il Governo italiano, nel prendere di petto la questione libica con tutta la forza militare richiesta, non dimentichi che ogni guerra “dichiarata” a una sola tribù, setta, fazione islamica, viene interpretata come un vero e proprio attentato all’intera comunità islamica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:05