Attenti a quei due

È ormai abbastanza chiaro che sulle spalle dei romani Matteo Salvini sta giocando un’indecente partita per affermare che ormai il Cavaliere va considerato fuorigioco e non deve più assolvere al ruolo di federatore del centrodestra perché è lui il nuovo leader che può fare e disfare come meglio gli aggrada le scelte elettorali. Si ripete quindi la storia, già vista e rivista in questi anni, di chi pensa che bastino i sondaggi, spesso gonfiati, per riuscire a costruire un vero leader e il riconoscimento da parte di un popolo di moderati che non ama né gli estremismi politici, né le scelte suicide che, purtroppo, provocano danni aldilà dei singoli protagonisti.

Cos’è che ha determinato il dietrofront rispetto ad un percorso che sembrava avviato, non solo, alla ricostruzione del fronte moderato, ma addirittura buttava le basi per liquidare il pifferaio magico fiorentino riconquistando la guida del Paese? C’è una sola risposta: la paura che la vittoria alle amministrative potesse rilanciare la leadership del Cavaliere e in questa direzione sono bastati i sondaggi positivi, dopo la scelta di Guido Bertolaso, che hanno fatto decidere che era meglio rompere gli indugi, forzare la mano, anche a costo di rompere, di conseguenza, la stessa alleanza di centrodestra che stava ricostruendosi.

Quel che ha fatto scattare l’operazione anti Cav, tramite il “no” a Bertolaso, sono state le prime settimane di campagna elettorale del fuoriclasse “Mr. Emergenze”, che hanno impaurito il Salvini della Lega, perché a Roma, a differenza di Milano, il successo del candidato di centrodestra sarebbe stato più addebitabile a Berlusconi che ad altri. Ciò avrebbe riportato, indiscutibilmente, il Cavaliere al centro dello scenario politico, con tutto ciò che questo avrebbe comportato. La dimostrazione sta tutta nelle “gazebarie” che hanno visto il popolo moderato, finalmente, uscire allo scoperto e andare ad incoronare Bertolaso candidato a sindaco.

Ma il segretario della Lega, condizionato dalla voglia di diventare l’indiscusso leader dell’alleanza, non si è dato per vinto e ha continuato la sua azione per logorare la candidatura di Bertolaso puntando nella peggiore delle ipotesi alla sua sconfitta, e nella migliore alla sua rinuncia che avrebbe dimostrato che il Cavaliere come leader non è più tale. Ammantare questa scelta suicida con la volontà di ricercare il miglior candidato possibile per Roma puzzava, e puzza terribilmente, di falso. A lui non interessa per nulla né Roma, né altre città, ma solo il suo smisurato “Io”.

Su questa percorso ha coinvolto anche Giorgia Meloni che, come classico agnello sacrificale, dopo le polemiche che sono seguite, sarà destinata a sicura sconfitta. In questa operazione, infatti, la Meloni, più sensibile alla parola data sul candidato concordato e restìa a passare per l’ennesima traditrice, ha alla fine ceduto al disegno di Salvini, convinta che un suo appello avrebbe fatto cambiare idea a Berlusconi e soprattutto a Bertolaso. Salvini non ha badato a sacrificare il futuro di Roma pur di non rimettere in corsa il Cavaliere, e l’ex ministra della Gioventù si è fatta coinvolgere pienamente facendosi dettare le mosse e facendo ridere con le frasi rivolte a Bertolaso “di non farsi strumentalizzare” e che “nessun uomo può dire ad una donna cosa deve fare”. Sembrava chiaramente che parlasse di se stessa.

Forte del successo (sic!) e non contento dei problemi creati al centrodestra ed ai romani, il Salvini apre altri fronti mettendo in discussione, come fatto a Roma, la scelta concordata a Torino con Osvaldo Napoli. Il Salvini, senza alcuna vergogna, dichiara che Napoli “è un’ottima persona, ma non so se è il candidato migliore”. È stato subito chiaro che non era il migliore e a stretto giro di posta si è accodata la Meloni (quella che non si fa dire da nessun uomo cosa deve fare).

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:53