
A giugno si elegge il sindaco di Roma dopo il commissariamento. La partita travalica però gli interessi romani, perché lì si decide anche sulla conquista della leadership dell’area di centrodestra in Italia. Dopo la rottura dell’accordo che voleva Guido Bertolaso candidato unico, l’esito elettorale ci dirà infatti se il centrodestra, come l’abbiamo conosciuto finora, avrà ancora ragioni per essere competitivo nel mutato sistema dei partiti italiani.
In base alle regole del governo maggioritario (Westminster), che sta alla base dell’Italicum, Silvio Berlusconi aveva saggiamente tentato di ricomporre i pezzi della sua vecchia maggioranza. Ma, l’avanzata della Lega in poco più di un anno, ha stravolto dalle fondamenta la geografia e le ambizioni dei competitori. L’Italicum presupponeva un sistema bipartitico (non più solo bipolare). Chi vince prende tutto, chi perde fa opposizione e si prepara per la prossima tornata elettorale. Per funzionare, però, il modello Westminster presuppone alcuni semplici accorgimenti, il primo dei quali è l’omogeneità del sistema sociale e dei partiti, cioè la condivisione di alcuni generalissimi princìpi e valori che, pur nella diversità delle scelte quotidiane dei diversi partiti, siano condivisibili dalla maggior parte dei cittadini.
L’affermazione di alcuni nuovi, o rinnovati, partiti sembra invece aver fatto perdere all’Italia quel carattere di “normalità” (si fa per dire) che faticosamente l’Era berlusconiana aveva inseguito. Per questo è bene che Matteo Renzi si accorga che il sistema elettorale dell’Italicum va rivisto, perché presuppone un’Italia che non c’è più. Qual è la politica estera della Lega, che guarda al modello Marine Le Pen, mostra simpatie per Donald Trump e Vladimir Putin, organizza a Milano la riunione dei movimenti euroscettici, invoca l’intervento militare italiano in Libia e propone l’uscita dell’Italia dall’Eurozona? Gli stessi dubbi valgono per il Movimento Cinque Stelle. Verso quali avventure sarebbe sospinta l’Italia di Beppe Grillo che, in politica estera, al di là dell’antimilitarismo, non fa intravedere nient’altro? Per oggettivo contrasto, tutto questo emerge anche dallo scontro intestino in atto tra Forza Italia, la Lega e Fratelli d’Italia, per la designazione del candidato sindaco di Roma.
Su un piano più generale, fino adesso, il ruolo centrale ed equilibratore di Berlusconi ha saputo tenere unito tutto il centrodestra, in ogni consultazione elettorale, locale o nazionale che sia. La nascita di ben quattro governi, pur se con luci e ombre (1994- 2001-2005-2008), è stata possibile esclusivamente per la capacità “federativa” di Berlusconi. Invece si deve ipotizzare che, se l’area di centrodestra dovesse evolvere a trazione Salvini-Meloni, per la destra-destra si disegnerà un futuro di sempiterna minoranza. Berlusconi non vuol cedere a questa prospettiva, non certo per smania di protagonismo, ma - si direbbe - per il superiore interesse della Nazione. L’insistenza sulla candidatura Bertolaso si spiega soltanto così, come un dovere nei confronti del popolo di centrodestra, che merita una prospettiva di governo negli anni a venire, non semplicemente di pura testimonianza.
Bertolaso per Forza Italia, Giorgia Meloni per Fdi e Lega, Francesco Storace e Alfio Marchini. Tutti e quattro, per la frantumazione che rappresentano e le fragilità che manifestano, sanno perfettamente di non poter essere competitivi con il candidato del Partito Democratico e con quello del M5S, che viaggiano, nelle intenzioni di voto, su percentuali che si aggirano attorno al 30 per cento ciascuno. Così stando le cose, nessuno candidato di centrodestra ha la benché minima teorica possibilità di raggiungere il ballottaggio. Allora, perché tanta lucida ostinazione?
Bertolaso rappresenta la migliore testimonianza federativa dell’area di centrodestra per Roma e, forse, per il futuro. Ma Salvini e Meloni non accettano tutele, perché intendono guidare d’ora in avanti, e in prima persona, questo schieramento. Affiorano ancora flebili intenzioni di buona volontà per impossibili ricuciture. Ma, meglio chiarire subito. Tra Bertolaso e la Meloni chi prende più voti alle prossime comunali romane sarà di fatto legittimato a guidare lo schieramento di centrodestra, a Roma e oltre Roma. Siamo davanti ad una specie di primarie all’italiana per la leadership di centrodestra. Peccato che, al di fuori degli addetti ai lavori, lo scontro non sia percepito nella sua reale portata. Spiace soprattutto per il popolo romano di centrodestra, ma la partita è questa. Chi andrà a votare per le comunali romane di giugno voterà immerso in un non dichiarato strabismo di chi vota per Roma ma in realtà decide per l’Italia.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:01