
Le vicende di malagiustizia e persecuzione giudiziaria si susseguono a ritmo incessante. Pubblichiamo volentieri, come atto doveroso a tutela dei diritti e delle garanzie che ogni cittadino dovrebbe veder tutelate di fronte all’esercizio della giurisdizione, la storia di Michele Caccamo, di cui aveva già scritto per noi Laura Arconti in un articolo del 28/11/2015. Vittima di clamorosi errori giudiziari, dopo tre anni di custodia cautelare, da due settimane è tornato un uomo nuovamente libero. Assolto per non aver commesso il fatto. Di fronte a lui, dopo aver perso tutto per colpa della giustizia, soltanto la sfida, la fatica di dover ricostruire tutta la sua vita, lavoro compreso. Di non cedere all’ingiustizia subita.
Un’accusa mossa da un ex dipendente, come promotore di una truffa con modalità mafiose e un processo durato tre anni: per Michele Caccamo nel maggio 2013 si sono aperte le porte del carcere e soprattutto della malagiustizia, che come una malattia invasiva, divora e lascia allo stremo. E siamo in Calabria dove la lotta alla criminalità non conosce il discernimento e quindi arrestare è un diktat: la regola contro cui l’innocenza non ha via di scampo.
I casi sono tanti e noti: ma nell’affaire Caccamo durante il processo emergono verità terribili. Un collaboratore di giustizia dichiara che l’ex dipendente (ndr: l’accusatore, di cui sopra ovvero il custode della struttura industriale) è il reale complice dell’associazione criminale e la struttura industriale, in fase di dismissione, potrebbe essere acquistata all’asta dalla ‘ndrangheta, che ha grossi interessi nella zona in cui sorge:
“Michele Caccamo è una persona perbene, una vittima, e la ‘ndrangheta ha vantaggio da questa persecuzione, perché vuole acquisire la sua attività e i suoi beni. Lui, prima di tale accanimento, si è sempre opposto subendo per questo: furti per oltre un milione di euro, revoche di affidamenti bancari, perdite di commesse di lavoro. Il vero favoreggiatore dell’associazione per delinquere era l’ex dipendente (custode), che operava all’insaputa di Michele Caccamo approfittando della notte o delle sue numerose assenze dal complesso industriale”.
È l’articolo 530 comma 1, del Codice di procedura penale, promulgato dalla Corte del Tribunale di Palmi che mette fine a questo incubo e conferma l’innocenza di Michele Caccamo: con formula piena e per non aver commesso il fatto. Nonostante la linearità della sentenza attesa e accolta con emozione e piena soddisfazione dall’aula, l’affaire Caccamo resta un caso irrisolto di malagiustizia.
Tre anni in cui la libertà personale viene sottratta, a titolo cautelare: al pari di delinquenti e criminali, Michele Caccamo ha sopportato il carcere e tutte le privazioni umane e affettive che gli sono state imposte per via di una calunniosa testimonianza, per la quale il dichiarante non è ancora stato ad oggi indagato e, contro di lui, non è stato preventivamente preso alcun provvedimento cautelare. Tre anni di prigionia invece per Caccamo: tra carcere a Palmi e domiciliari, poi di nuovo una carcerazione presso il carcere di Palmi e il necessario trasferimento al carcere di Locri, per minacce ricevute e per essere stato indicato come “persona non gradita” all’interno dell’istituto di pena, dagli altri detenuti, in seguito a una sua presa di posizione, per il rispetto del lavoro delle guardie carcerarie e di nuovo altri mesi di domiciliari fino all’assoluzione: quando verità e giustizia hanno avuto ragione su un pasticcio giudiziario. La ragione, appunto, la stessa che per educazione e cultura non ha mai abbandonato il poeta malcapitato che da sempre si professa (inascoltato) innocente. E in molti gli avevano creduto: gli stessi uomini di cultura che lo conoscono lo frequentano e apprezzano la sua arte poetica, conosciuta oltre i confini italiani, non solo quelli geografici ma anche oltre quelli della burocrazia fallace e scomposta. Gli avevano creduto personaggi come Laura Arconti, Andrea Camilleri, Achille Occhetto, Cristina Matranga, Aldo Nove, Susanna Schimperna, per citarne alcuni oltre a esponenti della cultura mondiale, prevalentemente del mondo arabo.
Michele Caccamo è conosciuto, in Italia e all’estero, come il Poeta della Fratellanza. La sua poesia racconta la sua fedina penale, quella della sua anima pulita: l’unica colpa che ha è quella di emozionare e scuotere gli animi con i suoi scritti e le sue poesie o forse più semplicemente è colpevole di essere un onesto uomo calabrese. Michele Caccamo ha dato a tutti una lezione di vita e qualche suggerimento per una giustizia migliore: dal carcere infatti scrisse una sua riforma sul sistema carcerario e giudiziario per umanizzare la prigionia.
“Farò della mia innocenza una pubblica ragione”, questo dichiara Michele Caccamo da uomo libero che trae forza dalla sua innocenza e dalla sua indiscussa onestà da oggi ufficialmente per tutti, per la sua rinascita umana e sociale.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:59