La Scuola è vita

La Scuola è vita. Prepara alla vita. Si va a scuola per imparare a pensare con la propria testa, per aprire la mente, per stimolare la curiosità e il dubbio, per esercitare il ragionamento, per cogliere il senso delle cose, per ricercare i significati che sfuggono al nozionismo e alla superficialità.

Ecco perché l’articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di sabato 12 Marzo, dedicato al calvario linguistico che i nuovi prof subiscono dalle comunicazioni del Miur, spinge a una riflessione. La Scuola non è nozionismo mnemonico, non è linguaggio astratto, non è complicazione linguistica, ma scoperta, approfondimento, percorso umano, vita.

Non a caso, secondo tale visione di ampio respiro, le varie materie di studio vanno percepite come collegate tra loro in un’ottica interdisciplinare. Come? Innanzitutto, si tratta di comprendere. E la comprensione può essere reciproca. Se non ti comprendo, non c’è dialogo. Insomma, se queste sono le premesse, si tratta di attuare una visione che, con semplicità, sul piano didattico e formativo, tenga sempre conto della stretta relazione che oggi intercorre tra la parola e la chiarezza del concetto espresso, tra l’aula e la realtà esterna, tra gli studenti e le loro legittime aspettative.

L’aula mantiene, in tale approccio educativo e maieutico, una finestra sempre aperta sul mondo e uno sguardo verso l’esterno che rende i ragazzi più consapevoli dell’importanza e dell’utilità delle discipline studiate a scuola. Anzi, se espresse in modo semplice e chiaro, gli allievi sentiranno come vitali le loro responsabilità di studenti, in quanto soggetti attivi dell’apprendimento e non come oggetti passivi dell’insegnamento o dei programmi ministeriali. Per cui gli alunni, seppur inseriti nella specifica comunità scolastica dell’Istituto, vivono questa relazione con l’esterno come utile e necessaria perché permette loro di comprendere che essa aiuta ciascuno a capire meglio il risvolto concreto delle materie studiate e, quindi, diventano essi stessi degli attivi costruttori di significati. Invece, se tutto si complica, se il senso delle parole sfugge, se i concetti restano imperscrutabili, anche nelle indicazioni del Miur, allora i vocaboli indirizzati ai nuovi professori risuoneranno come vuoti a perdere. Provo a decriptare, quindi, quanto ho letto sul tema in questione perché l’apprendimento può diventare davvero il punto cruciale per un cambio di paradigma nella scuola e permettere la ricerca individuale di un metodo, a cominciare dal metodo di studio che ogni ragazzo adotterà per sé, rispetto alle proprie esigenze e qualità, senza che il docente sia costretto ad imporre un approccio ministeriale dall’alto perché non esistono ricette valide per tutto e per tutti.

Credo che il ministero chieda di superare la vecchia concezione basata sull’egemonia di un insegnamento costruito sulla ricezione passiva delle nozioni da parte degli studenti per trasformarsi in un percorso di ricerca, di scoperta, di analisi, di sintesi, di fiducia, di lealtà e di reciproca comprensione. Un percorso scolastico entusiasmante, vivo e vitale, attraverso cui ogni ragazzo ritrova anche l’utilità di ciò che studia in modo da essere protagonista della sua scuola e, dunque, della sua vita.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:00